Cronaca

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"Troppo poco e troppo tardi", "si perde l'occasione per capire il vero lato oscuro del G8, la tendenza nelle forze dell'ordine ad aggiustare le prove per arrivare allo scopo". Così Enrico Zucca, magistrato che ha rappresentato l'accusa nelle indagini sull'irruzione alla scuola Diaz nei giorni del G8 di Genova, commenta in un'intervista all'Unità la sentenza della Cassazione che ha condannato i funzionari di polizia.

"Dai capi di quella Polizia - dice - non bastano le scuse". "La prevedibilità di quella sentenza era incerta non per ragioni processuali - afferma Zucca all'Unità - ma per le pressioni cui sono stati sottoposti i giudici in questi mesi. Importanti organi di stampa hanno ricordato, alla vigilia del verdetto, la necessità di valutare la ragion di stato. Questo é grave".

"Non c'era bisogno della sentenza definitiva per chiedere scusa", dice a proposito delle parole di Antonio Manganelli e Gianni De Gennaro. "Quello che è successo quella sera era un'evidenza ieri e lo è oggi. Basta guardare i filmati come ha fatto il ministro Cancellieri. La presunzione d'innocenza è un principio sacrosanto. Ma la Corte Europea dei diritti dell'uomo impone la sospensione dei funzionari ogni volta che sono rinviati a giudizio e la rimozione se sono condannati".

La sentenza per Zucca è tardiva: "Cosa dicono quelle istituzioni che hanno considerato l'indagine stessa un abuso? La polizia ha iniziato da subito una sotterranea battaglia di boicottaggio". "Giudiziariamente abbiamo chiamato a rispondere i capi di un'operazione militare - prosegue - la catena di comando che era lì sul posto e non una immaginaria o ipotetica. Le responsabilità e le scelte politiche non sono nella nostra competenza. De Gennaro aveva fissato un obiettivo politico e tecnico: riscattare l'immagine della Polizia di Stato dopo giorni di guerriglia. Per quel fine è stato giustificato ogni mezzo. Questo non è consentito nelle democrazie occidentali".

Sulle responsabilità di De Gennaro, allora capo della Polizia, Zucca afferma: "La sua responsabilità nella fissazione dell'obiettivo di riscatto dopo la disastrosa gestione della piazza è un pilastro del processo, ma non sul piano penale. Perché i generali presenti sul campo erano altri". "La Diaz - continua il pm - fu un'azione militare eseguita sulla base di poteri eccezionali, attribuiti alle forze dell'ordine quando vanno in cerca di armi ed esplosivi. E chi è responsabile di come un'operazione del genere viene condotta? I militari e i loro comandanti. E allora come è possibile pensare che ne rispondano solo i 'soldati semplici', se agiscono sotto la direzione effettiva di un comandante presente sul posto? Noi non abbiamo processato il quartier generale in questura o a Roma, ma chi era sulla scena, chi c'é andato con casco e manganello. I giudici hanno evidentemente tratto le conseguenze dalle dichiarazioni rese da quei comandanti, non ripetute al processo, secondo le quali loro non si erano accorti di nulla, erano stati ingannati".