GENOVA - Anche la nuova diga foranea di Genova, l'opera di cui oggi verrà posato il primo cassone, fa parte di quella 'guerra industriale' che è tipica del porto di Genova: la litigiosità, endemica dello scalo, è stata del resto una delle questioni sempre al centro dei pensieri delle istituzioni locali, di qualunque colore fossero. E promuovere il dialogo è stata, di norma, la prima preoccupazione della politica.
E di discussioni, e colpi bassi, è piena anche la storia della diga foranea, un'opera giudicata essenziale per lo sviluppo economico del porto e della città ma che non è vista bene da tutte le forze in campo.
Noi di Primocanale siamo stati fin dal principio favorevoli alla costruzione di questa infrastruttura: dopo 100 anni di onorato servizio la vecchia va sicuramente sostituita al fine di garantire maggiori spazi di manovra. Le navi moderne sono molto più grandi di quelle del passato e per i porti di oggi è indispensabile poter gestire le portacontainer da 20mila Teu: al momento le banchine in grado di ospitarle sono il Psa di Pra’ e il porto di Vado ma non tutti quei terminal che si trovano nel bacino del porto storico e a Sampierdarena.
Dietro alla diga, quindi, si nascondono gli interessi di tutti i primari operatori, che sono favorevoli o contrari per ragioni legate proprio ai loro business nei diversi terminal in concessione.
Chi è favorevole - A parte il sindaco di Genova, che è anche commissario della diga, e con lui le forze politiche di maggioranza che sostengono gli enti locali, favorevoli alla nuova barriera di protezione sono quasi tutti gli imprenditori che hanno in concessione le banchine nell'area del porto storico e di Sampierdarena. Il più grande sostenitore dell'opera è stato, da sempre, Aldo Spinelli: il commendatore la chiedeva a gran voce anche molti anni fa, quando l'ipotesi di costruirla era una semplice chimera. Appena è stato invece possibile pianificarla sul serio, U Scio Aldo ha iniziato a battere tutti i tasti possibili, sia in pubblico che in privato, per spingere le istituzioni ad attivarsi per ottenere i finanziamenti.
Anche Gianluigi Aponte ha tutto l'interesse affinché la diga venga costruita: la sua concessione a Calata Bettolo moltiplicherà il suo valore quando in quella banchina potranno attraccare navi da 20mila Teu, e lo stesso vale per il gruppo Messina (che peraltro appartiene ad Aponte per il 45%) e il suo terminal in Calata Derna, posizionato poco più avanti, direzione Sampierdarena.
Per il gruppo Msc la diga è essenziale anche in relazione al comparto delle crociere: le nuove mega navi della linea World Class scalano alla Stazione Marittima e hanno dimensioni tali che le manovre guadagneranno moltissimo in sicurezza quando il bacino di evoluzione sarà più ampio.
Chi è contrario – Nel porto storico c'è un terminalista che si è sempre mostrato contrario alla nuova infrastruttura: è Giulio Schenone del terminal Psa-Sech. La sua posizione ha senso in quanto il suo gruppo è parte di Psa (Port of Singapore Authority, che gestisce il terminal di Pra', il più grande della città) che non ha bisogno della diga per consentire alle mega navi di attraccare. La fusione dei due terminal, che peraltro aveva scatenato una vera guerra di nervi nel mondo portuale e creato un mare di problemi all'allora presidente Signorini, li ha resi di fatto complementari: le mega navi a Pra', quelle di dimensioni più piccole al Sech. Subire la presenza di nuovi concorrenti in grado di lavorare con le grandi portacontainer, anche se la speranza è quella di un aumento complessivo dei traffici, non può certo far piacere. Per la stessa ragione nel porto di Pra' la diga foranea non è considerata una buona notizia.
Negli equilibri di potere del porto non va nascosto che c'è un altro soggetto che non trae alcun giovamento, al contrario un rischio, dalla costruzione della nuova diga foranea: è il porto di Vado, rappresentato nell'Autorità portuale del Mar Ligure Occidentale da Rino Canavese, uomo molto vicino al gruppo Gavio. Le sue posizioni in seno al comitato di gestione portuale sono state spesso dissonanti con quelle dei portatori di interessi genovesi, basti ricordare tutta la querelle del Terminal Rinfuse di Spinelli e Aponte (quello finito sotto la lente della magistratura), e anche sulla diga la resistenza non è stata molto diversa.
Ma la ricerca del pace in porto ha spinto Palazzo San Giorgio a trovare soluzioni che, in definitiva, hanno accontentato un po' tutte le parti in causa e consentito al progetto della diga di procedere senza troppi sussulti. Al porto di Vado è stato assegnato il cantiere della costruzione dei cassoni della diga, a Giulio Schenone (assieme ad Aldo Negri della Finsea, con cui ha costituto, nel luglio scorso, una società ad hoc, la Sinalefi) è stato concesso il trasporto della ghiaia di riempimento e degli stessi cassoni dal cantiere di Vado all'area della nuova diga. Alla fine nessuno si può lamentare.
Ma ora questa infrastruttura è chiamata alla sfida più difficile, quella dell'incertezza istituzionale: il vuoto lasciato da Giovanni Toti, al momento sospeso dal ruolo, e dai guai giudiziari che deve affrontare il commissario del porto, Paolo Piacenza, si è sostituito in questi giorni il consiglio regionale, che ha coraggiosamente approvato la sottoscrizione di un mutuo da 57 milioni per realizzare il secondo lotto. Ma questo atto rischia di non bastare se nelle carte della magistratura, e magari dell'Anac, dovessero nascondersi nuove insidie.
Sul ponte di comando resta il solo Marco Bucci, sindaco e commissario, libero di operare perché non coinvolto in nessun modo nella bagarre giudiziaria. Il suo spirito di intrapresa è arcinoto ma anche un leone come lui sa di doversi muovere nella cruna di un ago: i nemici della diga possono presentarsi in qualunque momento, i tempi per la sua costruzione sono contingentati dalle regole del Piano Nazionale di Coesione che l'ha finanziata (tutto deve essere completato entro il 2026, salvo proroghe comunque non scontate). Una corsa a ostacoli che rischia di lasciare Genova con il sedere per terra.
IL COMMENTO
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