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L'AD di Salini Impregilo: "Il modello Genova è basato su buon senso e attaccamento al territorio"
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“Com’è possibile che in un Paese come il nostro, con la sua eredità, la sua storia, sia caduto un ponte”? Pietro Salini, Amministratore Delegato di Salini Impregilo, non può togliersi questo pensiero dalla testa neppure nel giorno in cui la sua azienda, a tempo record, ha consegnato a Genova e all’Italia il nuovo ponte sul Polcevera in tutta la sua interezza. “Me lo ricordo quel maledetto 14 di agosto, eravamo tutti folgorati di fronte a quelle immagini, a quel dolore. Ho pensato che avremmo dovuto fare qualcosa e farlo subito”.

Per lui che è il re dei costruttori italiani ‘fare qualcosa’ non poteva non trasformarsi in una magnifica ossessione: “Portiamo la nostra ingegneria e la nostra capacità costruttiva in tutto il mondo, nella nostra storia abbiamo costruito millequattrocento chilometri di ponti, possibile che proprio in Italia debba accadere una cosa simile”? Così è nata l’idea di gettarsi a capofitto nel progetto, di costituire il consorzio PerGenova e di scioccare il Paese intero con un cronoprogramma ai limiti della pazzia.

Un progetto che, per rendere il tutto ancora più sfidante, si è snodato tra piogge torrenziali, venti a raffiche e persino il coronavirus, il più straordinario impedimento che si potesse immaginare: nulla ha fermato l’implacabile volontà delle donne e degli uomini che hanno lavorato senza sosta a questo progetto.

Nel cantiere disponiamo di personale di grande valore, già impegnato in tanti altri progetti della Salini Impregilo: voglio ringraziarli dal profondo del cuore, e con loro tutti quelli che hanno reso possibile questo risultato, dalle istituzioni ai cittadini alle forze dell’ordine”, dice Salini.

Che sottolinea come il ‘modello Genova’ sia ben diverso da come lo si è spesso descritto: “Si dice che tutto ruoti attorno alla deroga di leggi e procedure concessa al commissario e questo non è vero. Il modello Genova consiste, per la verità, nell’avere avuto al comando di questo progetto uomini di buon senso, un sindaco – commissario innamorato della propria città che si è svegliato ogni mattina con il chiodo fisso di restituire all’Italia quest’opera fondamentale e con lui noi tutti abbiamo passato ogni singolo giorno a pensare a come accelerare, nella massima sicurezza, il nostro lavoro, renderlo più snello, efficace”.

Un modus operandi molto distante da ciò che accade, in generale, negli altri grandi progetti italiani: “Da noi c’è sempre la tendenza a mettere l’azienda costruttrice al centro di ogni responsabilità con il risultato che in Italia, e solo da noi, il sistema economico delle costruzioni è sostanzialmente al collasso. Qualcuno – dice Pietro Salini – dovrebbe chiedersi il perché”.

Ma è dalle costruzioni, dalle grandi opere e dagli investimenti dello Stato che l’Italia può rinascere, non solo dalle macerie della sua perenne crisi economica ma anche dalle ceneri dell’emergenza Covid, quella che Pietro Salini chiama la tempesta perfetta: “Questa situazione genererà al Paese un danno gigantesco, calcolabile in almeno centocinquanta miliardi di mancati introiti fiscali per lo Stato, a cui aggiungere i maggiori investimenti necessari per sostenere le famiglie colpite dalla crisi. Al presidente Conte – continua Salini - ho chiesto di lanciare un grande progetto sul modello del ‘piano Roosevelt’, studiato per affrontare le conseguenze della crisi del ’29 negli Stati Uniti d’America: in Europa la crisi non fu affrontata con lo stesso vigore e persino una conquista stabile come la democrazia è caduta sotto i colpi della rabbia sociale che ha generato il Fascismo e il Nazismo”. Salini non lo dice ma il parallelismo con l’oggi è evidente, anche oggi molti dei valori sui cui poggia la civiltà occidentale sono a rischio.

Oggi abbiamo la grande occasione di rilanciare l’Italia attraverso un piano che metta al lavoro milioni di persone – continua l’Ad di Salini Impregilo – non possiamo pensare che le aziende superino la crisi attraverso un ulteriore indebitamento, serve il lavoro e possiamo riuscirci”.

Per questo, però, la volontà politica è determinante: “Le grandi opere non sono sexy, come dice qualcuno. Tutt’altro: un cantiere fa rumore, costringe a modifiche alla viabilità, dà fastidio. Un cantiere non è immediatamente spendibile a livello elettorale ed è spesso percepito dai politici come un problema e la politica, si sa, non ama questo genere di problemi. Ma quando i cantieri sono finiti, poi? Quando in Italia fu aperto il cantiere dell’autostrada del Sole c’era gente che diceva che non sarebbe servita a niente, quando costruivamo l’alta velocità ferroviaria, analogamente, c’era chi protestava. Ve lo immaginate oggi – conclude Salini – un mondo senza autostrade né treni veloci”?

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