salute e medicina

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 Scrive Renato Balduzzi ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica e ex ministro della Salute nel governo Monti, sulla rivista della Società italiana di Diritto sanitario, che “stiamo riscoprendo in queste straordinariamente difficili settimane l’importanza del nostro servizio sanitario nazionale. Quanti lo hanno sempre avuto a cuore e hanno lottato per consolidarlo e difenderlo da attacchi e da proposte di radicale stravolgimento che , nei quarantadue anni trascorsi dall’entrata in vigore della legge 833 del 1978 non sono mancati mai e che hanno nel tempo assunto forme diverse non possono che prenderne atto positivamente e auspicare che le dichiarazioni di sostegno alla sanità pubblica e i buoni propositi di questi giorni non svaniscano come neve al sole una volta attenuatosi lo tsunami del contagio”.

L’intervento puntuale del professor Balduzzi viene dopo interviste a quotidiani nelle quali alcuni politici, come il vicesegretario del Pd Andrea Orlando o la ex ministra Bindi chiedono un ritorno forte alla sanità pubblica rispetto a quella privata e soprattutto un ritorno, almeno per certe materie alla competenza diretta dello Stato rispetto a quella delle Regioni. Per evitare i pasticci di queste settimane.
Il tema è interessante e è giusto affrontarlo dopo questa impressionante batosta che ha messo in luce l’incertezza assoluta del futuro (nessuno ha saputo prevedere, non solo in Italia), ma soprattutto la nefasta politica dei tagli alla sanità (dimezzati medici e infermieri, cancellati interi ospedali, risparmiato sui servizi territoriali) attuata da tutti i governi dal 1981 in poi. Per rinfrescare la memoria cito i più noti: Craxi, Ciampi, Amato, Berlusconi, Prodi, D’Alema, Monti, Letta, Renzi, Gentiloni). Tagli che si sono chiamati elegantemente “risparmi” fatti anche dalle Regioni, per stare dentro i limiti imposti e evitare o recuperare sprechi indicibili, alcuni dei quali, dolosi così tanto da diventare veri scandali nazionali.

Un ritorno allo statalismo sanitario assoluto francamente non credo che possa offrire grandi risultati. Certo sul alcuni argomenti sarà bene che lo Stato riprenda in mano la situazione, dando una linea nazionale. Soprattutto dopo il flop del tanto decantato modello lombardo. Una sanità in gran parte delegata ai privati con pingui finanziamenti (dirottati dal settore pubblico) che riesce a attirare molti pazienti anche dalla nostra Regione, (fughe sanitarie spesso ingiustificate).
Calando la questione in Liguria, (dove anche i tagli nel passato si sono fatti sentire molto pesantemente) bisogna dire che la attuale giunta ha mantenuto fino a oggi una caratterizzazione pubblica della sanità. Ora che cosa succederà?
Ci sono in vista alcune importanti attribuzioni di strutture ospedaliere strategiche alla sanità privata. Uno per tutti l’ospedale che dovrà sorgere sulla collina di Erzelli e che, insieme al vecchio Villa Scassi di Sampierdarena (dove peraltro operano alcune riconosciute eccellenze), diventerà il tanto atteso polo ospedaliero del Ponente.

Sarà assolutamente decisivo rileggere la destinazione di questo ospedale alla luce della pandemia così come ci sarà da riflettere anche sulla destinazione del nuovo Ospedale Galliera, in pieno centro città, individuato come un ospedale a valenza prevalentemente geriatrica.
La definizione delle competenze di questi due ospedali dovrà essere fatta tenendo bene presente la peculiarità del Policlinico di San Martino. Ognuno dovrà avere le sue competenze specifiche ben definite e soprattutto ci sarà da chiedersi seriamente se Erzelli debba essere offerto ai privati o no. E se fosse mantenuta questa linea privatistica stare bene attenti a far calare a Genova materie che servano veramente alle esigenze della città e della regione e non solo settori economicamente vantaggiosi per la sanità privata che, logicamente, per stare in piedi deve realizzare dei profitti.
Su questo il governatore Toti e l’assessore Viale dovranno essere molto chiari, pensando anche alla necessità di creare ospedali “flessibili” o come si dice oggi dopo la crisi universale delle terapie intensive, realizzati “a moduli intercambiabili” rapidamente in caso di emergenze.
Per fortuna che la Liguria ha scelto di mantenere in vita i reparti di malattie infettive, tradizione di eccellenza della sanità locale!