cronaca

I ricordi dell'ex direttore dell'istituto penitenziario, fra mafiosi e ultrà del Genoa
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"Il covid è stata un'esperienza forte, come lo è stato dirigere il carcere di Marassi".

Salvatore Mazzeo, 66 anni, siciliano di Catania, storico direttore del carcere di Marassi, che ha diretto dall'82 al 2015, ora in pensione e avvocato, racconta dalla sua casa di Quarto la sua esperienza di malato di covid nel marzo dello scorso anno e la sua esperienza alle Case Rosse di Marassi.

"Paura non ne ho mai avuta perchè nonostante avessi una polmonite non respiravo male e poi guardando gli altri mi rendevo conto che stavano peggio, c'era registro su una sedia dove c'era una sfilza di nomi di persone decedute, un ragazzo di trentadue anni che soffriva molto, secondo me io ho preso il covid in quel periodo nelle aule del tribunale dove mi recavo per il mio attuale lavoro di legale. Della mia permanenza ricordo e ho apprezzato il lavoro degli infermieri, fanno un lavoro incredibile, altruisti, generosi, disponibili, veramente bravi, un lavoro che io non saprei fare".

Che differenza c'è fra i lavoro degli infermieri e degli agenti penitenziari?

"Sono lavori oscuri perchè intramurari dove nessuno vede, ma in realtà si sentono, hanno grande valenza sociale, il poliziotto che deve garantire la sicurezza ma anche il trattamento, l'infermiere che deve garantire la sicurezza della salute, entranbi operano in silenzio, senza apparire, ma con grande professionalità".

Come si diventa direttore di un carcere?

"Avevo fatto un concorso a Roma, lo vinsi e scelsi la  sede dell'Ucciardone di Palermo, dove c'era la nuova famiglia dei corleonesi che avevano fatto fuori la famiglia dei  Bontade, che era quella perdente"

Nell'Ucciardone in quegli anni comandavano i mafiosi?


"E' chiaro che la mafia allora in quegli istituti e in quegli anni aveva una forza incredibile".

Da cosa di vedeva la forza della mafia in carcere?

"Dal senso di rispetto che i detenuti e il nostro personale avevano nei confronti dei mafiosi, che li trattavano non come privilegiati ma con umanità. Ricordo la mia esperienza da vice direttore in un'udienza, sento del trambusto, poi vedo due bellimbusti che portavano una sedia con un signore seduto, dall'alto (e Mazzeo mima la scena con le mani) appoggiano questa sedia davanti a me e scende un signore con un collare al collo, un bastone con il pomello grigio e d'argento e si abbassa e mi dice Buongiorno dottore io sono... mi scusi dell'intrusione...ma il nome non lo dico...".

Ma il nome deve dirlo ora...

"Era Madonia".

Ha conosciuto anche Falcone e Borsellino?

"Due procuratori in gamba, due magistrati, ma anche due super poliziotti", aggiungerà poi Mazzeo a telecamera spenta".

Parliamo del carcere di Marassi di Genova: era sovraffollato allora e lo è ancora?

"Il detenuto quando è possibile deve scontare la pena fuori del carcere, se possibile lavorando gratuitamente, sennò il reo non risarcisce lo Stato e la vittima, se uno ruba il portafoglio a me interessa che mi risarcisca non che stia in carcere".

Quale è la storia del carcere di Marassi che l'ha colpita di più?

"Quella di un detenuto che si chiamava Bottino, un ultrà del Genoa (Pietro Bottino detto "lo squalo", poi morto in un incidente stradale ndr) che era dentro per avere gettato la moglie dalla finestra, quando lo vidi fuori si avvicinò per salutarmi, gli dissi di non fare più sciocchezze di quel tipo, lui mi disse che non c'era il rischio perché abitava al primo piano".