porti e logistica

Il rosso supera gli 800mila Euro, serve l'intervento del sistema portuale
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La Compagnia Unica del porto di Genova rischia di fallire: l’allarme circola da tempo negli ambienti portuali e con l’approssimarsi dell’approvazione del bilancio i ‘camalli’ genovesi iniziano seriamente a preoccuparsi. Il mese chiave per comprendere il destino della Culmv è ottobre: entro il 31 la Compagnia deve riunire i 1.050 soci per chiudere i conti che saranno ancora una volta in perdita e approvare il piano di risanamento dell’azienda con l’aggiornamento dei necessari strumenti finanziari.

L’anno 2019 si è concluso con un deficit di 883 mila Euro, la Culmv non ha i mezzi economici per ripianare e busserà alle porte dell’Autorità di Sistema Portuale e dei terminalisti per trovare il denaro che manca: è una situazione che si ripete ogni anno poiché la tariffa concordata con i vari terminal non è sufficiente a coprire i costi vivi della Compagnia. Dopo l’approvazione del bilancio va in scena un teatrino che ha sempre avuto lo stesso finale: i terminalisti si prestano a un tira-molla prima di saldare la differenza. Ma perché la Compagnia ogni anno accumula debito?

Il tema è spinoso e a seconda degli interlocutori le risposte sono differenti: per i terminalisti la Culmv è fuori mercato e costa troppo, per i camalli la ragione del deficit è legata al mancato rispetto della tariffa prestabilita. I servizi prestati dalla Compagnia, infatti, sono normati dall’articolo 17 comma 2 della legge 84/94; la remunerazione è determinata da un regolamento, fissato l’ultima volta nel 2015: per ogni uomo-turno i terminalisti che si avvalgono dei ‘camalli’ dovrebbero pagare fino a un massimo di 232 Euro. Se veramente lo facessero – è la tesi della Culmv – i conti sarebbero in equilibrio.

La tariffa massima, però, non si applica obbligatoriamente: ogni terminal, a seconda delle necessità, negozia le proprie tariffe con il risultato che la somma media pagata nel 2019 ammontava a 227 Euro uomo-turno. In questo modo i conti della Compagnia sono finiti, per l’ennesima volta, sott’acqua. La situazione non è nuova e non sarebbe nemmeno preoccupante se non fossero intervenuti alcuni cambiamenti nell’anno in corso.

Dopo gli accordi sottoscritti l’anno scorso all’approvazione del bilancio 2018, infatti, l’Autorità di Sistema Portuale ha intimato alla Culmv di elaborare un piano di risanamento: l’operazione è partita con l’inizio del 2020 e nei primi mesi dell’anno ha portato buoni frutti. Poi è arrivato il Covid e, con lui, il crollo dei fatturati: autorevoli fonti interne alla Compagnia parlano di un possibile -40% a fine dicembre. Un tracollo che si è direttamente trasferito sulle buste paga degli operai che, in qualche caso, sono arrivati a perdere la metà dello stipendio.

In queste condizioni la Culmv si sente debole e teme un attacco dal sistema: già l’anno scorso era circolata l’ipotesi di uno smembramento della Compagnia e di una sua trasformazione in agenzia di lavoro interinale, come previsto dal comma 5 dell’art. 17 della stessa 84/94. Agenzie di questo tipo sono già operative nei porti di Trieste e Livorno ma con un numero nettamente inferiore di addetti. Qualcuno sta pensando di sfruttare la crisi per spingere la Culmv al cambiamento? Del resto il momento appare perfetto: basterebbe non approvare il bilancio, lasciando gli operai senza stipendio per un po’, per arrivare al commissariamento e, quindi, alla fine della Culmv conosciuta finora.

C’è dell’altro. Già in passato la Compagnia aveva un interlocutore molto più grande degli altri, il terminal Psa di Pra’: la maggior parte del fatturato derivava proprio dagli avviamenti previsti su quelle banchine ed è sempre stata la mediazione di Psa, guidata fino all’inizio dell’anno da Gilberto Danesi, a consentire una definizione pacifica dei contenziosi. Oggi, con la fusione tra Psa e Sech, il peso di questo gruppo è salito ulteriormente ed è destinato a raggiungere il 70% del giro di affari della Compagnia: un vero monopolio, amministrato da nuovi manager, che rischia di rendere la Culmv ancora più indifesa nella trattativa che si va profilando.

Sullo sfondo, ma neanche tanto, c’è la posizione dell’Autorità di Sistema che dovrà svolgere la funzione di arbitro di questa difficile partita. E anche su questo punto la nebbia appare piuttosto fitta: il presidente Paolo Emilio Signorini è infatti in scadenza di mandato (dicembre 2020) e mentre la Compagnia dovrà disegnare il proprio futuro la politica locale e nazionale sarà impegnata nelle rituali schermaglie per la nuova nomina. Il presidente avrà sufficiente potere e autonomia per dirigere la contesa?