Cultura e spettacolo

Tratto da un libro di grande successo affronta nazionalsocialismo e Olocausto a misura di bambino
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Nel 1933, la vita di Anna Kemper (nove anni) va in pezzi: quando Hitler sale al potere, suo padre, famoso critico teatrale e nemico dichiarato dei nazionalsocialisti, è costretto a lasciare Berlino. Il resto della famiglia – lei, il fratello e la madre - lo seguiranno poco dopo. La fretta è tale che i bambini possono mettere in valigia soltanto l'essenziale. Anna finirà per lasciare a casa, oltre ai suoi giocattoli tra cui un vecchio coniglio di pezza rosa cui è legatissima, anche la propria infanzia in un viaggio che la porterà prima in Svizzera, poi a Parigi e infine a Londra, involontaria apprendista di un’esistenza nomade in un perpetuo movimento di fuga verso orizzonti sconosciuti. Una lotta quotidiana nella quale una lampadina o una matita a buon mercato possono rappresentare sia la dignità che muore sia quella che permette ai rifugiati di poter sopravvivere.

Il libro ‘Quando Hitler rubò il coniglio rosa’ di Judith Kerr, pubblicato all’inizio degli anni settanta, ebbe un successo clamoroso seducendo milioni di lettori in tutto il mondo. La regista tedesca Caroline Link, che con ‘Nowhere in Africa’ nel 2001 vinse l’Oscar come miglior film in lingua non inglese, trasponendolo sullo schermo aderisce totalmente allo stile narrativo del romanzo in cui l’autrice raccontò parte delle sue esperienze di profuga per sfuggire insieme con la famiglia alla minaccia e al terrore diffusi dall'ascesa al potere del Terzo Reich. Una storia libertaria e bizzarra che tocca temi difficili come il nazionalsocialismo o l'Olocausto ma affrontandoli a misura di bambino.

‘Quando Hitler rubò il coniglio rosa’ è un film sul nazismo senza nazisti in vista, una fuga dal terrore come tante altre che stiamo vivendo oggi in Europa, e dunque particolarmente attuale, una storia di rifugiati, pregiudizi, oltraggi e precarietà. È anche un film di contrasti culturali gestiti dalla visione candida di alcuni bambini non parlando soltanto di una ragazza speciale ma di un'infanzia spezzata e di un conforto rubato raccontando come l'innocenza e l'immaginazione dei più piccoli si perdano gradualmente nel contrasto con un mondo esterno che non riescono a comprendere nella sua tragicità.

Dunque non un dramma sull'Olocausto (sebbene i campi di concentramento vengano menzionati un paio di volte) ma piuttosto lo sguardo su una famiglia ebrea abbastanza fortunata da lasciare la Germania prima che il Terzo Reich lo rendesse impossibile. Finiranno per affrontare povertà, discriminazione e nostalgia ma sempre contenti di stare insieme e soprattutto vivi mentre chi è  rimasto indietro, non disposto a credere o capire che il proprio paese gli si sarebbe rivoltato contro, avrebbe subito destini molto più terribili. Cosicché il film di Caroline Link (e prima ancora il libro di Kerr) finiscono per diventare in definitiva una testimonianza, drammatica e ottimistica allo stesso tempo, della resilienza e dell'amore familiare.