Dan Aykroyd e Eddie Murphy in 'Una poltrona per due'C’è qualcosa di sospettosamente resistente nel Natale cinematografico. Ogni dicembre ritorna come un parente eccentrico che conosciamo fin troppo bene, e che pure continuiamo a invitare: le luci, la neve (quasi sempre artificiale), le famiglie riunite e disunite, la redenzione finale che arriva puntuale come un treno svizzero. Ma i film di Natale più riusciti non sono semplicemente cartoline animate o veicoli per melodie zuccherose. Sono, piuttosto, specchi stagionali: riflettono le ansie, le speranze e le contraddizioni delle epoche in cui sono stati realizzati, usando il Natale come una lente narrativa, a volte indulgente, a volte impietosa. Ecco una carrellata di pellicole che meritano di essere riviste.
La vita è meravigliosa (1946)
È difficile pensare a un film di Natale senza inciamparci, prima o poi. Eppure, a rivederlo oggi, colpisce quanto poco abbia di festoso nella sua ossatura. Il Natale raccontato da Frank Capra, qui, è soprattutto una scadenza: il momento in cui i debiti morali e materiali di George Bailey arrivano tutti insieme a chiedere il conto. Il lieto fine, con la comunità che si stringe attorno a lui, non cancella l’ombra del tentativo di suicidio che lo precede; la rende, semmai, più significativa. È un Natale che salva, sì, ma solo dopo aver guardato l’abisso.
Il miracolo della 34esima strada (1947)
Se Capra interrogava la moralità individuale, Il miracolo della 34esima strada sposta la questione su un piano istituzionale. Il film di George Seaton mette letteralmente Babbo Natale sotto processo, chiedendo a una società moderna e razionale di pronunciarsi sull’esistenza della magia. Credere al Natale, sembra dire il film, è un atto civile prima ancora che spirituale.
A Christmas Carol
Pochi testi hanno avuto una fortuna cinematografica paragonabile a A Christmas Carol di Charles Dickens. Da Scrooge (1951) a The Muppet Christmas Carol (1992), fino alle versioni animate e digitali più recenti (vedi quella di Robert Zemeckis con Jim Carrey, 2009), la storia di Ebenezer Scrooge continua a essere riscritta perché incarna una struttura narrativa quasi perfetta: il passato, il presente e il futuro come tre atti di un processo di autocoscienza. Il Natale, qui, è il momento dell’anno in cui il tempo stesso sembra rallentare, consentendo a Scrooge – e allo spettatore – di guardarsi indietro e avanti senza distrazioni. Le versioni migliori sono quelle che non edulcorano troppo la paura: i fantasmi devono essere inquietanti, il futuro desolante.
Una poltrone per due (1983)
Ormai è molto più di un film: è un rito natalizio. Ogni anno torna puntuale come le luci sull’albero, mescolando ironia e spirito delle feste in una commedia che parla di riscatto, fortuna e seconde possibilità. Tra risate e scene diventate cult, il film ci ricorda che il Natale è anche il momento in cui tutto può cambiare, basta una buona occasione… o una scommessa di troppo.
Die Hard (1988)
Che Die Hard sia o non sia un film di Natale è diventata una discussione rituale, ripetuta ogni dicembre con la stessa ostinazione delle luci sugli alberi. Ma la risposta, a ben vedere, è meno ironica di quanto sembri: Die Hard è un film di Natale perché usa il Natale come stress test. La festa aziendale, il ricongiungimento familiare, l’idea di “tornare a casa”: tutto viene messo sotto tiro – letteralmente – da un gruppo di terroristi. John McClane, eroe imperfetto, è l’antitesi dell’armonia natalizia, e proprio per questo finisce per incarnarla. Il film suggerisce che il Natale non è pace, ma conflitto risolto; non silenzio, ma rumore che trova un senso.
Mamma, ho perso l'aereo (1990)
Con questo film il Natale passa attraverso lo sguardo dell’infanzia, ma un’infanzia tutt’altro che innocente. Kevin McCallister è dimenticato, e reagisce trasformando la casa in una zona di guerra. Le gag mascherano una verità più scomoda: il Natale è anche il momento in cui le famiglie rivelano le loro crepe. Il film funziona perché alterna anarchia e desiderio di appartenenza. È una fantasia di autosufficienza che si scioglie, puntualmente, davanti a un albero illuminato.
Love Actually (2003)
E' forse il film che più esplicitamente usa il Natale come collante narrativo. Le sue storie si intrecciano non perché lo richieda la logica, ma perché lo consente l’atmosfera: a Natale, tutto sembra più vicino, più urgente, più confessabile. Il film è stato spesso criticato per il suo sentimentalismo e per una certa superficialità emotiva ma non tutte le storie finiscono bene e forse è proprio questo a renderlo più onesto di quanto sembri.
Negli ultimi vent’anni, il cinema natalizio ha smesso di fingersi innocente. O meglio, ha cominciato a interrogarsi apertamente sul proprio ruolo in un mondo in cui la fede nel rito – religioso o familiare – è diventata più fragile. I film più recenti non si limitano ad aggiornare le lucine o le colonne sonore: tendono piuttosto a usare il Natale come una superficie incrinata, sotto la quale si muovono solitudini contemporanee e una nostalgia che sa di déjà-vu. Ecco tre film significativi di questa nuova tendenza
Bad Santa (2003)
Diventato col tempo un classico postmoderno, il film di Terry Zwigoff rappresenta una reazione quasi allergica al sentimentalismo natalizio. Billy Bob Thornton interpreta un Babbo Natale alcolizzato e amorale, una caricatura che funziona perché spinge fino all’estremo ciò che il Natale promette e raramente mantiene. Il film non distrugge il Natale. Piuttosto, lo profana per verificarne la resistenza. E sorprendentemente, qualcosa sopravvive.
Carol (2015)
Todd Haynes ambienta Carol nel periodo natalizio non per sfruttarne il calore, ma per contrastarlo. Le vetrine illuminate e le musiche soffuse fanno da sfondo a una storia di desiderio silenzioso tra due donne, osservato e giudicato. Il Natale amplifica le convenzioni sociali, e quindi il rischio. Il film usa la stagione come una gabbia elegante. Tutto è bello, composto, ma anche soffocante. L’amore tra Carol e Therese cresce negli sguardi e nei silenzi. In questo senso, è uno dei film natalizi più adulti degli ultimi anni: non promette soluzioni rapide, ma riconosce che, a volte, il massimo che il Natale può offrire è la possibilità di essere visti, anche solo per un momento.
The Holdovers (2023)
Qui Alexander Payne ha firmato uno dei ritratti natalizi più sobri e riusciti degli ultimi anni. Ambientato in un college del New England durante le vacanze, il film segue personaggi che restano indietro: chi non ha dove andare, chi non è stato invitato, chi preferisce non tornare. Il Natale è quasi un rumore di fondo, percepibile più per assenza che per presenza. Eppure è proprio questa marginalità a renderlo centrale. Payne suggerisce che il vero spirito natalizio, se esiste, abita nei tempi morti, nelle conversazioni impreviste, nelle alleanze temporanee tra solitudini compatibili.
Da tutto questo collage emerge un quadro dove il Natale cinematografico non è più soltanto una promessa di felicità garantita ma uno spazio narrativo dove possono convivere colpa, sarcasmo, attesa e fallimento. Forse è questo il motivo per cui continuiamo a tornare a questi film ogni dicembre: non perché ci rassicurino, ma perché ci ricordano che, anche nel momento più illuminato dell’anno, l’esperienza umana resta profondamente — e meravigliosamente — incompleta.
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