Cultura e spettacolo

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Ventiquattro minuti di applausi alla fine della proiezione, record assoluto nella storia di Venezia
3 minuti e 6 secondi di lettura
di Dario Vassallo

Il genocidio a Gaza porta con sé innumerevoli storie. Molte non sono mai arrivate agli occhi dell'Occidente ma il 29 gennaio 2024 questa enorme tragedia ha avuto un volto e una voce: quella di Hind Rajab, una bambina palestinese di sei anni rimasta intrappolata nel primo pomeriggio insieme ad alcuni esponenti della sua famiglia in un auto colpita da numerosi colpi d'arma da fuoco da parte dell’esercito israeliano. Unìca a rimanere viva fu contattata telefonicamente dal centro di emergenza della Mezzaluna Rossa di stanza a Ramallah, a 82 chilometri di distanza, attraverso uno zio che viveva in Germania. Ne è seguito un tentativo durato ore di ottenere l'autorizzazione per salvarla. Purtroppo alle 19:30 di quella sera ogni contatto venne perso dopo che un'ambulanza uscita per recuperarla (un tragitto di soli otto chilometri da percorrere) fu bombardata a pochi metri di distanza uccidendo i due soccorritori.

La trama

La regista tunisina Kaouther Ben Hania ha tratto spunto dalla storia per ripercorre le ore estenuanti e frustranti trascorse al centro di emergenza attraverso gli occhi di quattro persone che cercano di salvare la bimba dall'altro capo del filo: gli operatori telefonici Omar e Rana, il coordinatore Mahdi e la psicologa Nisreen. Utilizzando soltanto frammenti audio autentici delle loro conversazioni, The voice of Hind Rajab (prodotto da alcune star di Hollywood come Brad Pitt, Joaquim Phoenix e Rooney Mara, ventiquattro minuti di applausi alla fine della proiezione ufficiale, un record assoluto nella storia della Mostra) ricostruisce le ultime ore della ragazza che vediamo solo attraverso foto d’archivio ma è anche il ritratto di uomini e donne senza volto che cercano ogni giorno di salvare vite umane e un omaggio a coloro che rischiano la propria vita affinché altri possano continuare a vivere : un esercizio di tensione senza speranza, una corsa contro il tempo che sappiamo già essere persa.

La voce che si sente nel film è proprio quella di Hind 

Spesso descriviamo alcuni film impegnativi come difficili da guardare, molto più raramente da ascoltare. Così qui è una drammatica emozione sentire la voce flebile di una bambina sola e in pericolo di vita, senza fiato per la paura e la confusione, chiedere aiuto. Per buona parte dei suoi 90 minuti, l'onestà e l'approccio misurato, pur toccando tutte le emozioni del pubblico, impediscono al film di trarre profitto da una tragedia trattata con rispetto, orrore e dolore senza tentare di visualizzare, animare o ricostruire ciò che sta accadendo. Stonano solo i cinque minuti finali quando vengono mostrate le riprese dei veri soccorritori e della madre di Hind, oltre alle conseguenze dell'attacco all'ambulanza e all'auto in cui è rimasta intrappolata che potrebbero far sembrare false le intenzioni della regista dal momento che per la maggior parte del tempo non è né manipolativo né strappalacrime.

Una storia che non riguarda soltanto Gaza

La domanda più appropriata è se realizzare un film come The voice of Hind Rajab sia eticamente difendibile ed è una risposta che può variare da spettatore a spettatore ma non dovrebbe influenzare la percezione della qualità del film e del suo valore cinematografico. Al centro c'è qualcosa di molto semplice e difficile da tollerare. Perché è impossibile accettare un mondo in cui un bambino chiede aiuto e nessuno accorre. Quel fallimento appartiene a tutti noi. Questa storia non riguarda solo Gaza, parla di un dolore universale. Con la voce di quella bambina – "Salvatemi. Ho paura. Chiamate qualcuno che venga a prendermi" – che è la stessa di un popolo a lungo assediato, gli 82 chilometri che la separano dalla Mezzaluna Rossa di Ramallah e dalla salvezza rappresentano la distanza tra i palestinesi e tutti noi nel mondo che li guardiamo impotenti.

 

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