Cronaca

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di Dario Vassallo

La cattedrale di N.S. dell’Orto sembrava quasi più piccola, oggi pomeriggio, nel raccogliere la marea di gente che ha voluto essere presente all’ultimo addio a Sandro Giacobbe, scomparso venerdì scorso dopo una lunga malattia, voce di una stagione romantica della canzone italiana che ha esportato anche fuori dai confini nazionali. Un addio che come molte delle sue canzoni ha scelto la strada della misura e della semplicità.

È stato un lungo applauso ad accogliere l’arrivo della bara, in legno chiaro, posata poi davanti all’altare con una corona di fiori sopra la quale sono state appoggiate maglie della Nazionale cantanti di cui è stato prima giocatore poi allenatore, uno dei tanti tributi alla partita della beneficenza che lo ha accompagnato per tutta la vita, davanti alla moglie Marina e ai figli Alessandro e Andrea.

“Un artista e un campione nella carità - è stato definito nell’omelia -. Non un personaggio ma un uomo vero e semplice con le sue passioni, le sue fragilità le sue fatiche. Ha attraversato stagioni difficili che ha affrontato con dignità insegnandoci che non dobbiamo avere paura di mostrarci con le nostre ferite”. “La musica era il suo modo di raccontare la vita e questo è stato il segreto del suo successo - gli ha fatto eco alla fine della cerimonia il figlio Andrea -, una colonna sonora per i sogni e le speranze di tanti. Un papà dolce che ci ha mostrato come vivere con coraggio”.

Questa cerimonia è stato il punto d’incontro tra un territorio e una storia artistica. A piangerlo colleghi come Michele, Paolo Vallesi, il rapper Moreno, Paolo Brosio con cui condivideva le estati a Forte dei Marmi, ma anche molta gente comune: persone non più giovani che avevano ballato sulle sue canzoni, coppie che si erano amate grazie alle sue melodie. C’è chi ha scritto in uno dei due quaderni che raccoglievano le impressioni dei presenti “Era la nostra colonna sonora quotidiana” misurando in questo modo la grandezza di un cantautore, nella capacità - cioè- di dare parole ai silenzi di chi lo ascolta.

Quello che è parso è che questa giornata non abbia segnato tanto la fine di una presenza ma la conferma di un’appartenenza. Come se
Giacobbe fosse un po’ di tutti e il modo in cui è stato salutato (un altro applauso alla fine della cerimonia mentre nella cattedrale si spargevano le note della sua ‘Volare via’) si avvicina molto al modo in cui era stato percepito: familiare, vicino e sorprendentemente semplice.

È forse questo il lascito più autentico che gli si può attribuire: una popolarità mai gridata, un successo vissuto senza alterare la misura della vita quotidiana. Adesso Giacobbe riposa per sempre, dopo aver girato il mondo nel corso della sua carriera, nella terra della sua Liguria, quella terra di mare, vento e malinconia che lo aveva visto nascere e ora lo accoglie di nuovo come una nota che continua a vibrare nell’aria, anche dopo che la musica è finita e gli amici se ne sono andati.

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