Le case infestate fanno paura, ma i demoni personali nascosti, comuni nella nostra società moderna, sono almeno altrettanto inquietanti. Nell’ultimo film di Steven Soderbergh, Presence, entrambi i tipi interagiscono, dando vita alla storia allarmante di una famiglia perseguitata da fantasmi personali e spirituali.
La trama
Quando decidi di acquistare una casa, potresti ritrovarti ad ereditare più di quanto ti aspetti. In questo caso Rebecca e la sua famiglia sembra abbiano ereditato uno spirito ultraterreno inquieto. Lei e il marito Chris hanno i loro alti e bassi, ma questi problemi non sono nulla in confronto a quelli della figlia Chloe, ancora sconvolta dalla scioccante morte per droga della sua migliore amica. Nel frattempo, l’altro figlio, Tyler, vorrebbe solo che i problemi della sorella smettessero di influenzare la sua popolarità al liceo. Nel frattempo, una presenza sconosciuta e inspiegabile li osserva, fluttuando da una stanza all'altra. Mentre la famiglia si sistema, i problemi e le tensioni domestiche iniziano a divampare e Chloe è certa di percepire che qualcosa la sta osservando dall'ombra. In breve tempo iniziano ad accadere strani eventi mentre questo spirito rabbioso si manifesta. Tuttavia forse la cosa più preoccupante nel futuro di questa famiglia non ha nulla a che fare con il soprannaturale.

Horror psicologico e dramma familiare
Da oltre 35 anni Soderbergh arricchisce la sua filmografia in maniera variegata. Senza mai aver paura di sperimentare cose nuove, si è cimentato nei generi più disparati: film di rapine (la saga di Ocean's 11), drammi legali (Erin Brockovich), biopic musicali (Dietro i candelabri) e film epici (come i due che ha girato su Che Guevara). Adesso si cimenta con una storia di fantasmi, se pure sui generis. Con un budget ridotto, Presence si concentra infatti più sull'horror psicologico e sul dramma familiare che su effetti speciali creati per spaventarti. Lo spettatore assiste agli eventi come fosse una mosca sul muro, la tensione e il disagio che il film ci presenta sono di natura del tutto banale ma grazie alla sua natura voyeuristica non riusciamo a distogliere lo sguardo immergendoci in un’atmosfera che alla fine si rivela inquietante.
Messi in discussione i canoni del genere
Soderbergh mette in discussione i canoni classici del genere horror: la tensione e i jump-scare ci sono ma prevale il senso di attesa, il silenzio e una rappresentazione dell'orrore inteso come esperienza esistenziale, legata a lutto, memoria e identità. È un film che riflette sullo spazio e sul tempo e pone domande più profonde sulla percezione e sul ruolo di osservatore nel raccontare una storia. La sensazione di origliare illecitamente ci spinge a prestare attenzione a come questi personaggi raramente dicano ciò che intendono e cambino personalità a seconda di chi altro si trova nella stanza. Tutti sono bloccati in una sorta di stato liminale tra adulto e bambino: legati e distaccati, cinici e ingenui.
Un percorso emotivo e filosofico
Pur essendo palesemente imperfetto, Presence raggiunge comunque il suo scopo giocando efficacemente con lo spazio, muovendo la macchina da presa per creare ansia e dipingendo personaggi credibili per stimolare l'autoriflessione. Tutto alla fine si riduce ad uno spirito che fluttua e a un mistero: non ci sono piatti che volano, nessuna levitazione, nessuna decapitazione o effetto speciale per far sgorgare sangue a fiotti. Non prevede quasi per niente la morte cosicché il risultato finale è ancora più terrificante: un percorso emotivo e filosofico sull'osservare, sull'amore e sulla perdita, più che un semplice horror da brivido.
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IL COMMENTO
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