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di Mario Paternostro

La chiamavano “la Zarina” per il suo stile e il suo carattere. Una signora fisicamente minuta, elegante nei suoi sobri tailleurs, ma inflessibile, spigolosa, che dirigeva con ferrea autorità e decisionismo le gallerie comunali.

Un’anima aristocratica e di sinistra

Era una signora aristocratica  e orgogliosa, ma una donna decisamente di sinistra,   che non gradiva scendere in polemica in prima persona. Questo accadde  poco dopo Natale del 1971, annus horribilis quando la banda XXII Ottobre, prodromo delle Brigate rosse, uccise il fattorino dell’Istituto autonomo delle case popolari Alessandro Floris, in pieno centro di Genova.

Lo Scandalo del “Secolo XIX”

Tutto partì dall’articolo pubblicato il 28 dicembre sul “Secolo XIX” da Camillo Manzitti, giovane e brillante storico dell’arte. Manzitti aveva negato l’autenticità di dodici quadri che erano esposti nel museo di Palazzo Bianco in via Garibaldi. Si trattava niente di meno che di tre Rubens e nove Van Dyck per la prima volta alla vista del pubblico nella massima pinacoteca della città.

L’accusa di falsità dei quadri

I quadri erano stati “scoperti” e riconosciuti dalla professoressa Caterina Marcenaro, che dirigeva con ferrea autorità e decisionismo le gallerie comunali. Era lei “la Zarina” portata dal giovanissimo critico sulla prima pagina del “Decimonono” allora diretto da Piero Ottone. E scoppiò lo scandalo per giorni che divise la città e il mondo della cultura.

Per il giovane studioso, insomma,  i quadri erano tutti falsi.

“Ho sempre avuto l’arte di farmi odiare – rispondeva la Marcenaro al giornalista dell’agenzia Ansa che le chiedeva una dichiarazione – il perché non lo so dire. C’è gente che mi odia senza conoscermi. E’ il caso di questo signor Manzitti. Non l’ho mai visto. “.

Caterina Marcenaro si era fatta da sé. Era nata a Genova, nel popolare quartiere di Terralba nel 1906 in una famiglia modesta. Aveva studiato al liceo Colombo. Si era laureata in Storia dell’arte con una tesi proprio su Van Dyck.

Nel 1951 era entrata nell'Ufficio di Belle Arti del Comune di Genova, salendo al vertice e diventando direttrice nel 1950, succedendo a Orlando Grosso.

L’eredità museale

Sono giustamente passati alla storia della museologia italiana gli interventi rivoluzionari condotti insieme con il grande architetto Franco Albini:  Palazzo Rosso, Palazzo Bianco e Museo del Tesoro di San Lorenzo, il museo d’arte orientale Chiossone firmato da Mario Labò nel ’48 e portato a compimento da Cesare Fera e Luciano Grossi Bianchi solo alla fine della carriera della Marcenaro. Interventi che hanno lasciato il segno nella storia dei musei del dopoguerra.

Insomma era un personaggio potente e autorevole. Tanto che l’allora assessore comunale alle Belle Arti, la professoressa Maria Patrone Bugiardini, democristiana doc che non voleva assolutamente parlare, sollecitata dai giornalisti dichiarò che l’autorità culturale della professoressa Marcenaro era “fuori da ogni dubbio”. Ma il caso non si chiuse, anzi, andò avanti per parecchio tempo, diventando anche un caso politico. La Cultura faceva discutere e tanto!

Anticipazioni di “Ti Ricordi?”

Ne parleremo nelle due prossime puntate di “Ti ricordi?”, il programma sulla memoria di Genova che da mesi  curo con Franco Manzitti. Ricordi nostri, nostre antiche esperienze giornalistiche, storie e fatti spesso vissuti,  direttamente. Lo facciamo riportando a Primocanale testimoni di quei tempi, dando loro la parola per ricordare e narrare.

Così a raccontarci quello “scandalo” e soprattutto chi fu la Marcenaro ci saranno domani quel “giovane” che ebbe l’ardire di contestare la “Zarina” e nella seconda parte, da lunedì  4 agosto, la professoressa Giovanna Rotondi Terminiello, figlia del mitico Pasquale Rotondi che salvò migliaia di opere d’arte dalle razzie dei nazisti (nascose la “Tempesta” di Giorgione sotto il letto di casa), lei stessa in seguito Sovrintendente. Insomma una che la “Zarina” l’ha conosciuta da vicino.

Il saggio di Raffaella Fontanarossa

La storia della Marcenaro è stata raccontata molto bene da Raffaella Fontanarossa in un saggio di successo “La capostipite di sé. Una donna alla guida dei musei. Caterina Marcenaro a Genova”. Scrive la Fontanarossa:  “Da Genova la riapertura nel ’50 di Palazzo Bianco e successivamente degli altri musei, saldamente voluta dalle amministrazioni che si sono alternate in città , diventa il simbolo della ricostruzione del Paese dopo la guerra e le macerie. Senza Palazzo Bianco , Gardella forse non avrebbe fatto le Sale dei Primitivi agli Uffizi. Scarpa forse non avrebbe fatto il Museo Nazionale di Palermo e Albini non avrebbe fatto il Museo del Cairo.”

Fu la Marcenaro, per esempio, - racconta la storica Anna Orlando, - che ritrovò la Giustizia di Giovanni Pisano, parte del celebre monumento funebre per Margherita di Brabante (oggi nel museo di Sant’Agostino) abbandonata nel giardino di un palazzo genovese. La “zarina” provò a comprarla per poche lire. Il proprietario pensava che quel marmo fosse «un paracarro», come spiegò in squisito dialetto genovese al giovane funzionario della soprintendenza, Piero Torriti, che smascherò la mossa della Marcenaro.”

Ricordiamo che fu proprio lei a indirizzare la progettazione del Museo Sant’Agostino. Fu lei a cercare una sistemazione per il violino di Paganini, il famoso “Cannone” e contestò anche la Sopraelevata.

Insomma una signora che decideva, comandava, certamente si esponeva, insomma un personaggio da non dimenticare. Da ricordare.  Cosa che puntualmente facciamo.

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