Cultura e spettacolo

Il film di Francois Ozon affronta il tema del suicidio assistito su un piano intimo e familiare e non etico
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Sono molti i film che in passato hanno affrontato a vario titolo il tema dell’eutanasia o del suicidio assistito, da ‘Bella addormentata’ di Marco Bellocchio sul caso Luana Englaro a ‘Miele’ di Valeria Golino passando per ‘Mare dentro’ con Javier Bardem e ‘Million dollar baby’ di Clint Eastwood. ‘E’ andato tutto bene’ del francese Francois Ozon rientra in questo solco attraverso una diversa prospettiva spostando l’attenzione da un piano strettamente etico ad uno più familiare ed intimo concentrandosi su cosa accade tra chi prende la drammatica decisione di porre fine ai propri giorni e chi è costretto a subirla.

André è un uomo anziano colpito da un ictus. In parte l’ha superato ma rimane non autosufficiente e dunque sminuito, nella sua sofferenza e nella sua dipendenza. Collezionista d’arte bisessuale normalmente eccentrico, non accetta di ridurre il proprio stile di vita e chiede alle due figlie qualcosa che in Francia (e non solo in Francia) è proibito: andarsene con dignità. Davvero un personaggio curioso: ricco di una vitalità che continua a manifestarsi pure con l’angoscia che lo divora dentro (bella interpretazione di André Dussolier), egoista per molti versi ma intransigente, soprattutto con se stesso, è entrato senza scusarsi nelle convenzioni borghesi del matrimonio e della famiglia pur continuando a vivere apertamente come un gay. Sarà la figlia cui è più legato nonostante le tante incomprensioni del passato (Sophie Marceau) a doversi fare carico di quasi tutto e prendere contatto con un’organizzazione che lavora in Svizzera dove il suicidio assistito è una pratica legale.

Il film è l’adattamento di un libro in cui Emmanuele Bernheim, storica collaboratrice del regista scomparsa nel 2017, raccontava l’esperienza vissuta con il proprio padre. Ozon riesce a legare questa parte intima con una più romantica approfondendo il rapporto tra un genitore e una figlia, tra la responsabilità o il rispetto verso chi ci ha messo al mondo e i rancori accumulati negli anni, eliminando ogni forma di pathos per concentrarsi su un viaggio che vede da un lato una forte determinazione e dall’altro una dolorosa accettazione. Consegna in definitiva una vicenda intima ad una dimensione universale, senza voyeurismo, cercando di mostrarci la capacità che le persone hanno di affrontare il dolore e la sensazione di vulnerabilità che ci portiamo dentro quando diciamo addio ai nostri cari, pur se si tratta di un addio programmato. E sono i piccoli dettagli, il banale, l'ordinario, le minuzie che qui ricompongono come piastrelle di un mosaico il quadro più ampio della vita. In questo modo ‘E’ andato tutto bene’ colpisce nel segno, perdendo in commozione ma guadagnando in spessore senza rinunciare all’ironia, come per esempio quando l’uomo, dopo che gli viene rivelato il costo esorbitante dell’operazione, chiede “Ma allora come fanno i poveri?” e si sente rispondere “Aspettano di morire”.

Ozon è molto bravo a non schierarsi e a limitarsi a raccontare una storia  semplicemente esponendo i fatti, senza mai giudicare cosa sia giusto e cosa sbagliato. Perché in fondo il film mette in luce le domande che tutti si pongono sulla vita e sulla morte, sul rapporto con i nostri cari, su quanto sia difficile accettare le loro scelte e su quanto a volte – sbagliando - cerchiamo di far prevalere aspettative e desideri che sono soltanto nostri. Certo, è un viaggio nel dolore ma con quei toni leggeri che scandiscono anche una grande storia d’amore tra un padre e una figlia.