Balzac scrisse ‘Illusioni perdute’ tra il 1837 e il 1843 dedicandolo a Victor Hugo, il secondo dei tanti cicli narrativi di cui si compone ‘La commedia umana’, capolavoro che ha travalicato tempi e mode. Pubblicato in tre parti, il regista francese Xavier Giannoli ne ha portato sullo schermo la seconda, ‘Un giovane provinciale a Parigi’: la storia di un ragazzo che cerca la realizzazione artistica nella grande città trovandovi corruzione, tradimento e sofferenza.
Ad Angoulême, durante la Restaurazione, Lucien Chardon, orfano discendente da una famiglia aristocratica ormai decaduta, lavora nella tipografia del cognato e nel tempo libero scrive poesie che firma con il nome nobile della madre, de Rubempré, frequentando i salotti e leggendole ad un pubblico totalmente insensibile. La sua bellezza e il suo ardore colpiscono però il cuore di Madame de Bargeton, regina della buona società del paese, che si infatua di lui e lo incoraggia a seguirlo a Parigi. Ma una volta nella capitale, di fronte alla pressione delle amiche che temono che l’accompagnarsi con un giovane di origini comuni possa danneggiare la sua reputazione, la donna lo abbandona al suo destino. Ferito e lasciato a se stesso, inizia a mettere le proprie doti di poeta al servizio di una stampa di basso livello sottomettendosi ai cambiamenti di una società pronta a tradire i valori su cui si era basata fino ad allora, a beneficio di un mondo dominato dalle apparenze. Tutto questo in un periodo molto delicato per la Francia con Luigi XVIII che permette all'aristocrazia di mantenere privilegi che si stanno progressivamente sgretolando sotto la pressione di una borghesia desiderosa di nuove conquiste sociali, politiche ed economiche.
Sullo sfondo delle lotte di classe ‘Illusioni perdute’ è un dipinto balzachiano che, dominato dall'ossessione per il successo, riecheggia il liberalismo del nostro tempo. Un film inquietante che dipinge un mondo condannato alla legge del profitto e della finzione, una commedia umana dove tutto si compra e si vende, la letteratura come la stampa, la politica come i sentimenti, la reputazione come l’anima. Attraverso una messa in scena vorticosa ricca di movimento e musica, piacere e crudeltà, malafede ed emozione, ci consegna con ardore l'immagine di una realtà tragicomica in cui la reputazione si fa e si disfa secondo le fortune del momento e dove i piccioni viaggiatori, incredibilmente molto prima dei social network, vendono la loro quota di fake news a tempo di record. Poi, come a prendere le distanze, il regista si affida ad una voce fuori campo che evidenzia in maniera assolutamente neutrale questo fondamentale momento storico.
Se il tentativo di Giannoli era di condensare in chiave cinematografica lo spirito irriverente di Balzac bisogna riconoscergli il merito di esserci riuscito realizzando un film romantico e critico sull'ambizione e la vanità che ha due cuori contrapposti: il viaggio di Lucien e l'approccio sociale e culturale all'epoca. Due percorsi che si sviluppano in maniera raffinata e rigorosa cui si aggiunge uno sprezzante cinismo verso un mondo che conosciamo molto bene, ma al quale non riusciamo a sfuggire. Così un classico del passato diventa attualissimo grazie ad un film anch’esso classico nella forma ma sorprendentemente moderno nella sostanza.
IL COMMENTO
Piaggio Aero, dietro la cessione nessuna strategia politica e industriale
Isole pedonali? Meglio il caos che sfidare l’impopolarità