Cultura e spettacolo

L'artista genovese ha lasciato un segno indelebile nella cultura italiana del secolo scorso
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Personaggio iconoclasta e irriverente come pochi altri, Paolo Villaggio – scomparso sei anni fa, il 3 luglio 2017 a 84 anni – ha saputo essere la cattiva coscienza dell’Italia per alcuni decenni lasciando un segno indelebile nella nostra cultura del secolo scorso. Non fosse altro che per l'invenzione del sublime ragioniere Ugo Fantozzi, alzi la mano chi non si è immedesimato almeno una volta in quel “prototipo del tapino e quintessenza della nullità”, come ebbe a definirlo una volta lo stesso Villaggio, dipendente e pavido alla continua ricerca di un riscatto, protagonista di dieci film e alcuni libri.

Ma ovviamente c'è non solo Fantozzi, perché seppe portare in televisione, in radio e al cinema una serie di personaggi legati tutti da una malinconica e grottesca capacità di suscitare la risata. Come Fracchia, goffo impacciato e timido, un'altra icona, sempre incapace di non rotolare puntualmente per terra dalla poltrona-puff sulla quale lo faceva sedere sadicamente il suo dispotico e irascibile direttore o come il prestigiatore Kranz, ‘tedesco di Germania’, con i suoi monologhi dai toni enfatici e catastrofici, tra i protagonisti di quella fucina di comicità che fu la trasmissione 'L'altra domenica'. A loro va aggiunta una vasta galleria di caratteri al limite del surreale che in maniera molto più cinica e spietata di quanto non ha fatto Alberto Sordi mettevano alla berlina certe caratteristiche dell’italiano medio.

Al cinema Villaggio ha lavorato con alcuni dei più grandi registi del Novecento. Fellini lo volle insieme a Benigni protagonista de 'La voce della luna', Olmi lo utilizzò ne 'Il segreto del bosco vecchio’ e recitò anche per Comencini, Ferreri, Monicelli, Salce, Wertmuller e Salvatores. Senza contare i premi vinti: un Leone d'oro alla carriera, due David di Donatello, un Nastro d'argento e un Pardo d'oro a Locarno.

Per tutta la sua vita Villaggio, anche se l'aveva lasciata alla fine degli anni Sessanta, non aveva mai dimenticato Genova, gli anni della gioventù tra il liceo 'D'Oria' e la facoltà di giurisprudenza poi abbandonata, la passione per la Sampdoria, gli inizi artistici con la 'Baistrocchi', l'amicizia con Fabrizio De André che si concretizzò in collaborazioni artistiche come la canzone 'Carlo Martello'. Una volta tanto la sua città non si dimenticò di lui e nel 2001 l'allora sindaco Giuseppe Pericu gli conferì la cittadinanza onoraria. Una cerimonia molto informale, dato il personaggio, ospitata sul palcoscenico del Carlo Felice dove l'artista in quei giorni era voce recitante dello spettacolo 'Pierino il lupo' di Prokofiev accompagnato dall'orchestra del Conservatorio Niccolò Paganini. Seduti in platea molti amici tra cui Gino Paoli e Arnaldo Bagnasco (ARCHIVIO STORICO - Guarda qui il servizio).

Un ulteriore omaggio gli arrivò nel 2013 quando festeggiò gli 80 anni nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Tursi con tanti amici che lo attendevano, da Paolo Fresco ad Antonio Ricci: “Adesso vado dentro – disse a Primocanale prima di entrare – a chiedere pietà a tutti” (ARCHIVIO STORICO - Guarda qui il servizio).