Ci sono domande che molti prima o poi si pongono quando si trovano responsabili della cura di un bambino: cosa vuol dire essere buoni genitori? Qual è il confine tra ciò che è meglio per noi e le responsabilità che abbiamo verso i nostri figli? Sono i quesiti cui cerca di rispondere il regista e scrittore francese Florian Zeller – che due anni fa aveva commosso il pubblico con ‘The Father’ che vedeva un padre ammalato di demenza senile accudito dalla figlia – in ‘The son’, tratto anche in questo caso da una sua commedia.
Un dramma lacerante e doloroso che vede protagonista il cinquantenne Peter, uomo d'affari di alto livello all'apice della sua vita professionale e personale a un passo da una consulenza politica che potrebbe dargli un futuro ruolo alla Casa Bianca. Vive con la bellissima compagna Beth e il neonato cui hanno dato alla luce mentre il figlio diciassettenne Nicholas sta con l’ex moglie Kate che ha lasciato circa tre anni prima mantenendo rapporti cordiali. Ma il ragazzo non vuole più stare con la madre, è vittima di un male di vivere diventato una presenza costante che lo porta a gesti autolesionistici, le cicatrici del divorzio dei genitori fanno ancora male e l’unico rifugio sono i ricordi dei momenti felici di quando era bambino. Così decide di trasferirsi dal padre che prova ad occuparsene pensando a come avrebbe voluto che il proprio genitore – un uomo freddo, indifferente e irresponsabile - si fosse preso cura di lui quando era piccolo. Beth accetta la situazione a malincuore ma Peter nel tentativo di rimediare agli errori del passato finirà per perdere di vista il presente di Nicholas.
Nella letteratura, da Sofocle a Shakespeare, tutto torna alla famiglia e i più grandi narratori della storia ci hanno fatto capire che niente, neppure il più romantico degli amori, ha maggior forza del rapporto tra i bambini e i loro genitori. Zeller parte da qui per confezionare un dramma sostanzialmente incentrato sulla paura e l'incomprensione che la generazione di mezza età ha nei confronti dei giovani. Basta vedere come Peter guardi il viso di Nicholas – a volte sorridente, a volte in lacrime, a volte soltanto perduto nel vuoto – senza che capisca nulla di ciò che sta pensando e sentendo e quello che lui dovrebbe pensare e sentire in cambio. ‘The son’ è un grido di aiuto in cui le persone vogliono disperatamente fare la cosa giusta ma nessuno sembra sapere di cosa si tratta o cosa sia. Un’incertezza che dà al film la sua tensione: un basso, subconscio timore che una tragedia di qualche tipo sia inevitabile anche se non puoi essere sicuro di quale forma assumerà.
Qui nessuno qui è immune dal dolore o dalla colpa. Kate vive in un mondo di rimpianti, incolpandosi della depressione di Nicholas. Peter sa che potrebbe aver innescato tutto quando ha lasciato la moglie per un'altra donna ma è determinato a mantenere il controllo della situazione illudendosi che Nicholas stia migliorando e le cose andranno per il meglio. Beth dal canto suo ha un figlio che deve avere la priorità ma non può sfuggire al ricordo che il preludio della nuova famiglia è stata la distruzione della quella vecchia del marito.
In ‘The son’ c’è la stessa austerità e lo stesso rigore di ‘The father’ ma anche più disperazione. E rispetto a quel film che aveva un'eleganza straziante nel modo in cui entrava nella testa del personaggio principale, questo è più freddo rimanendo comunque sensibile e in sintonia con le complessità del mettere sullo schermo la malattia mentale di un ragazzo, soprattutto in un momento come questo nel quale le statistiche ci dicono che depressione, autolesionismo e suicidio sono drammaticamente in aumento tra gli adolescenti. Nonostante una conclusione prevedibile e scontata è comunque un film imperfetto ma capace di affrontare con un cuore gentile un argomento oscuro e preoccupante.
IL COMMENTO
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