GENOVA - La mafia, i riesini e i 400 voti comprati: la maxi inchiesta che ha decapitato Regione Liguria con l'arresto del presidente Toti, di Aldo Spinelli e dell'ex presidente dell'Autorità Portuale Paolo Emilio Signorini ha travolto anche Certosa, che oggi viene dipinto come quartiere del malaffare genovese. "Ma Certosa non è sotto il giogo della mafia" sottolinea Enrico D'Agostino, storico attivista del quartiere col comitato Liberi Cittadini e protagonista di tante battaglie contro la mafia in Valpolcevera e non solo con la Casa della Legalità.
La vicenda è ormai nota: il capo di gabinetto e braccio destro del presidente Toti Matteo Cozzani, ora ai domiciliari, avrebbe avuto un accordo con i gemelli Testa (anch'essi di Riesi ma residenti nel bergamasco) e l'ex sindacalista Venanzio Maurici per 'scambiare' i voti della comunità dei riesini con alloggi popolari e posti di lavoro. La famiglia di riferimento dei tre sarebbe quella dei Cammarata. I politici per cui sarebbero state richieste preferenze sono tre consiglieri regionali, tutti totiani: Ilaria Cavo e Lilli Lauro, non indagate, e Stefano Anzalone, che invece è stato accusato di voto di scambio aggravato dall'aver agevolato la mafia. Un ruolo in questa indagine lo ha avuto anche il consigliere comunale Umberto Lo Grasso, che avrebbe informato i gemelli Testa delle intercettazioni. I riesini a Certosa sono circa 7mila ma i voti di cui si parla sarebbero circa 400.
"La piazza di via Garello oggi è vuota, i riesini che prima la popolavano ora non si vedono, neanche le donne - racconta D'Agostino -. Stiamo passando per un’enclave mafiosa e non è così. Durante la manifestazione di sabato che ha coinvolto tantissimi comitati cittadini l’ho gridato a tutti. Vivendo qui i riesini si conoscono gli uni con gli altri e hanno formato una comunità, non sono mica tutti mafiosi. La mafia c'è a Certosa ma Certosa non è mafiosa. Nella comunità dei riesini c'è reverenza, non c’è un vero e proprio padrino ma chi ha un incarico viene seguito da tutti".
La mafia nel quartiere è presente da molti anni e si manifesta con molte forme, dalle intimidazioni - "nel 2015 vennero incendiati 15 negozi a Certosa, tutti dichiarati corto circuiti" ricorda D'Agostino - ai tentativi di infiltrazioni nella politica.
D'Agostino racconta di quando lui stesso respinse dalla sede del Psi Umberto Lo Grasso, che a fine anni '80 si presentò alla sede del partito con un elenco di 100 nomi per cui fare la tessera: "Le tessere si fanno solo in presenza, non abbiamo mai accettato persone che si facevano avanti solo per riempire le liste. Fanno così, cercano di entrare in tutti i partiti, danno un po' a tutti e se gli chiudi la porta rafforzano il contributo agli avversari. Ma se li accetti li legittimi e questo le istituzioni non lo devono fare".
È dello stesso avviso anche il presidente della Casa della Legalità Christian Abbondanza: "I mafiosi li si disprezza e li si isola, se li si accredita socialmente e gli si dà un volto pulito che li protegge nel proseguimento degli affari illeciti si crea un problema". Secondo Abbondanza c'è anche una responsabilità da parte delle comunità, che "si prestano ad accoglierli e proteggerli" e "non isolano questi soggetti" ma è "sbagliato dire che si indaga sulle comunità, i colpevoli non sono 'i riesini', sono le famiglie. Noi attacchiamo le famiglie mafiose, non le famiglie riesine".
La politica però non riesce ad essere un anticorpo: "Quando questi soggetti riescono a riprodurre l'hummus della terra madre - le processioni delle terre d'origine, infiltrazioni nelle squadre calcistiche eccetera -, la politica dovrebbe contrastarli per aiutare la comunità ad escluderli. Il problema non è la riproposizione della processione della Madonna della Catena, è la processione dei politici che andavano a prendere voti ad averli legittimati. Certosa diventa prigioniera di famiglie mafiose per l'acquiescenza che hanno partiti e movimenti verso di loro, e consegnano alle famiglie la comunità riesina come scudo. Non vogliono rompere il patto di pace che hanno stipulato in decenni con le famiglie. I mafiosi invece versano voti su chi fa un patto con loro e su chi ritengono possa vincere ma non disdegnano di compromettere anche l'altra parte. Non sposano un politico o l'altro, sposano il potere. A tutti conviene e tutti stanno zitti sugli altri".
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