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di Luigi Leone

 

Premessa: se ho una notizia la dò, senza preoccuparmi a chi giovi e a chi non giovi. Se poi la notizia mi arriva da Palazzo di Giustizia, o dai suoi dintorni, la dò a cuor ancor più leggero, perché la fonte è autorevole. Quindi: mi fanno davvero ridere i partiti, i movimenti, i cespugli della politica e quant’altri si stracciano le vesti sol perché un giornalista fa il suo mestiere.

 

Ma tutti fanno quel che devono? L’inchiesta milanese, che coinvolge il sindaco Beppe Sala, e quella di Pesaro, che tocca il candidato governatore della Regione Marche Matteo Ricci, spingono il Partito democratico a scoprire che nei Palazzi della Giustizia e vicinanze c’è chi deroga ai propri obblighi. Così succede che pure esponenti di spicco come quelli citati apprendano dai mass media di essere indagati. Però non è colpa dei giornalisti, bensì di chi fa arrivare loro le notizie. Addirittura prima che ai diretti interessati.

 

Peraltro, un avviso di garanzia non è in automatico una sentenza di colpevolezza. Meglio: non sarebbe. In realtà, si scatena quel circuito mediatico-giustizialista per cui uno “avvisato” non è mezzo salvato, come recita il vecchio adagio, ma è un corrotto, un ladro, in poche parole un malfattore ipso facto. E allora chi viene raggiunto dalla comunicazione deve dimettersi.

 

Ne sa qualcosa Giovanni Toti, l’ex governatore della Liguria, sul quale il Pd non si era affatto mostrato garantista. Era persino sceso in piazza, con Cinque Stelle, Avs e tutti coloro che osteggiavano il presidente ligure. Compresi i fogli che facevano grancassa tifando per le opposizioni. Si dice: per lui erano scattati i domiciliari, per Sala e Ricci no. E’ vero. Ma siamo sicuri che nonostante ciò le dimissioni fossero necessarie?

 

Un comunista d’antan come si dichiara il direttore dell’Unità, Piero Sansonetti, afferma esattamente il contrario: “Toti non doveva dimettersi, non ho mai capito di che cosa esattamente fosse accusato. Come Sala e come Ricci”. La vicenda del governatore ligure, a sentire il collega, fu persino più clamorosa di quelle odierne: “I magistrati gli dissero che sarebbe tornato libero se si fosse dimesso. È stato stravolto il sistema democratico!”.

 

Ma se il Pd usa una sorta di doppiopesimo a seconda di chi siano gli indagati, non è che il centrodestra sia più lineare. Certo, per tradizione è più garantista e non lo fa a giorni alterni (siamo onesti, anche perché nel tempo ha avuto più indagati degli altri), tuttavia nello specifico non ha perso l’occasione di dire che “Sala deve andarsene perché ha sbagliato tutto”. In minoranza ci sta.

 

Se, però, contestualmente c’è un’inchiesta della quale dici di non essere convinto, non è il caso proprio in questo momento di chiedere le dimissioni del sindaco. Perché tutti sono portati a ritenere che a pesare sia soprattutto quella comunicazione giudiziaria. O no?

 

In un modo o nell’altro, intendo dire, ce n’è davvero per tutti. Compresi i Cinque Stelle, secondo i quali gli indagati devono andare al rogo, cioè dimettersi. Adesso, per la verità, Giuseppe Conte, il leader, dice che “si giudicherà caso per caso”, però sembra soltanto uno dei suoi bizantinismi teso a riaffermare il giustizialismo del movimento.

 

Che cosa succederà nessuno lo sa con esattezza. Ma quando la sindaca di Genova Silvia Salis dice, in una intervista al Corriere della Sera, che “Sala non deve dimettersi”, e la parola dimissioni non l’ha pronunciata neppure per l’ex assessore genovese Bruno Gambino, travolto dall’inchiesta sulla polizia locale, allora vuol dire che qualcosa potrebbe accadere. Salis ha ormai una statura politica nazionale, non parla a vanvera e quel che dice viene ascoltato. È la speranza che il sistema dei rapporti fra politica e giustizia possa essere riformato nel rispetto dei ruoli e dei pesi descritti in Costituzione. Vedremo.

 

Intanto mi aspetto che ci sia una sorta di resipiscenza da parte di tanti giornalisti che di fronte a un’inchiesta giudiziaria, sulla politica soprattutto, non solo danno, giustamente, la notizia, bensì continuano a ripeterla a nastro. Invece la regola è diversa, anche se sempre la stessa: si dà la notizia e si danno i relativi aggiornamenti, ma se ci sono e quando ci sono. Altrimenti nisba.

 

Lo ricordo quando c’erano colleghi che proponevano lo stesso pezzo, solo con parole diverse: veniva rifiutato. Leggendo i fogli dei più diversi orientamenti politici, mi domando perché adesso questo avvenga solo in rari casi. O non avvenga affatto.