Cronaca

Dalle parole della figlia la storia del partigiano "Furlini", economista, dall'arresto perchè non fece la spia, alla detenzione nel lager con un'infezione curata con un cucchiaino arroventato, alla gioia della Liberazione: "Era magro e gonfio, irriconoscibile"
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GENOVA - Quando il papà fu arrestato lei aveva solo due anni. Adriana Antolini però ricorda bene anche quegli anni, e così lei, di professione psicoanalista, raccontando a Primocanale la sua storia dalla sua abitazione di via Trento, ad Albaro, diventa la voce narrante della storia del padre, il partigiano "Furlini", Franco Antolini, nato a Porto Maurizio (Imperia) l'11 settembre 1907 e morto a Genova il 4 luglio 1959 a soli 51 anni per un ictus. Per l'addio a Antolini Genova si fermò.


Antolini, è stato uno dei pochi partigiani genovesi deportati e sopravvissuti al lager di Mauthausen.

Era entrato nel movimento antifascista negli anni dell'Università ispirandosi a Carlo Rosselli e contribuendo alla nascita e alla diffusione della rivista Pietre, nel 1928, aderì al movimento "Giustizia e Libertà", attento alla classe operaia genovese, dal 1935 aderì al Partito comunista clandestino.
Negli anni della guerra di Spagna, Antolini s'impegnò nell'agevolare l'espatrio dei combattenti antifranchisti

Entrato nel "Fronte Unico Antifascista", fu arrestato e dopo mesi di segregazione, processato dal Tribunale speciale e assolto.
Dopo l'8 settembre 1943, fu tra gli animatori della Resistenza ligure.

Membro del Comando militare regionale, il 18 marzo 1944, finì nelle mani delle SS. Tre mesi di carcere e di interrogatori non bastarono a strappare a "Furlini" nomi e rivelazioni; così fu deportato nel campo di eliminazione di Mauthausen.
Sopravvissuto e rientrato in Italia, Antolini fu designato dal Comitato nazionale di Liberazione commissario all'Ansaldo, poi divenne consigliere comunale e provinciale di Genova e membro della Commissione centrale economica del Pci. Storico Economista, con una profonda cultura storica, fra i suoi scritti un manuale del contribuente, dopo la sua morte gli è stata intitolata una sezione del Pci dell'Ansaldo e una strada in bassa Valbisagno.

Adriana ricorda il giorno dell'arresto e la deportazione:

"Era la terza volta che papà veniva arrestato, era il marzo del 44, siccome io compio gli anni il 14 marzo, lui avrebbe dovuto venire ad Aggio, frazione nelle campagne Val Bisagno, dove eravamo sfollati in casa di uno zio di mia madre, un prozio mio che aveva una casetta in quel paese. Quel giorno invece di arrivare lui è arrivato mio nonno materno, un anarchico, un pezzo d'uomo con la faccia scura, ricordo benissimo questo, aveva per noi un dono preziosissimo per l'epoca, due agnellini vivi portati a me e a mia cugina, che per me era come una sorella, come per consolarci del fatto che non ci fosse papà, quel giorno io fui protetta, la famiglia era tutta impegnata nella Resistenza anche con dei ruoli molto pericolosi. Papà quel giorno non è arrivato e io però ho capito, perchè i bambini capiscono... l'atmosfera era pesante, e la mamma da quel momento in avanti puliva sempre cipolle, così mi diceva la zia quando io la vedevo piangere".

LA RAPPRESAGLIA DEL TURCHINO E RINO MANDOLI

"Papà è stato arrestato, è stato trasferito a Marassi e interrogato in modo certamente non gentile, aveva molte cicatrici sulla faccia.
Papà diceva che aveva la sorte dalla sua parte perché era scampato alla rappresaglia che ha poi generato l'eccidio del Turchino. Quindi da marzo a maggio è stato lì, a Marassi, erano le decimazioni, lui era molto amico di Rino Mandoli, partigiano sepolto nel campo partigiano di Staglieno a cui porto sempre un fiore anche se non l'ho mai conosciuto. Ma erano amicissimi, papà non ha fatto niente affinché fosse scelto Rino, ma ha sempre pensato che gli avesse salvato la vita perché non avevano scelto lui, erano vicini di cella e ha sempre tenuto sotto il cristallo della scrivania la copia della lettera che lui aveva mandato alla moglie, un'amicizia che qui commuove ancora adesso, Rino aveva un viso bellissimo.

Quindi papà non venne fucilato a Turchino e fu mandato nel campo di Fossoli, vicino a Carpi, visto che non parla le ss lo deportano in quel campo, ci fu anche un tentativo di evasione, ma il carro bestiame partì la notte prima in cui era programmata la partenza".

"DENUNCIATO" E TORTURATO

Racconta ancora Adriana: "Io questo cose non le sapevo da mio padre, perchè lui non parlava volentieri del campo, ma da mia madre a cui evidentemente le raccontava. Papà parlava molto della solidarietà nel campo e prevalentemente ci ha insegnato questo perchè è stata una cosa importante, quindi da Fossoli venne deportato a Mauthausen, sullo stesso carico c'era Eros Lanfranco, papà sapeva benissimo di essere stato denunciato da un amico. Mamma diceva che se uno sa di non tollerare le torture non si mette nella lotta clandestina, papà era più comprensivo perché forse aveva subito trattamenti analoghi. Mamma e papà erano molto legati, con un carattere molto determinato, con un'etica...".

Suo padre sapeva chi lo aveva denunciato?

"Penso che lo sapesse, io queste cose le ho sapute da una lettera che Mario Cassiani Ingoni scrisse in un articolo dopo la morte improvvisa a 51 anni nel 1959 di mio padre. La città si fermò per i funerali, il funerale di Berlinguer quando l'ho visto mi ha ricordato quello di mio padre. C'era una città ferma piena di operai che avevamo voluto partecipare".

Non è un caso se a Genova c'è una strada dedicata a suo papà...

"Questo, dedicargli strada, è stato uno degli impegni che si era preso eticamente Giorgio Doria, c'è anche il nome di papà sulla sezione del Partito Comunista dell'Ansaldo"

Che effetto fa le vedere la scritta "via Antolini"?

"Più che altro l'effetto l'ha fatto al secondogenito di mia sorella, che è purtroppo è morta sei anni fa. Suo figlio quando andò a vedere questa strada, alla mamma che gli diceva che é un po' corta, disse, vabbè, mamma ma i palazzi sono alti e quindi quando portano la posta di posta ce n'è tanta"

Una strada in quartiere popolare, fra Marassi e Quezzi...

"Va bene dove è"

"L'INIEZIONE DI BENZINA CHE UCCISE LANFRANCO"

Racconta ancora Adriana Antolini: "A Mauthausen Eros Lanfranco verrà ucciso con una iniezione di benzina, perchè il trattamento era quello. Era uno dei campi più organizzati, era stato organizzato dagli spagnoli dopo la guerra di Spagna vinta dal generalissimo Franco, quando la Francia viene occupata vengono deportati gli spagnoli, che organizzano il campo molto bene, dentro il campo c'è la cellula comunista e quando il papà arriva, ovviamente insieme a Raimondo Ricci, Andrea Gaggero, che è sacerdote che venne spretato anche perché frequentava comunisti, Giuliano Pajetta gli dice di non dire di essere un professionista, un intellettuale, sennò vai alla cava di pietra e muori. Quindi c'era questa organizzazione: quindi papà, che era un mancino corretto, viene mandato a lavorare nelle fabbriche sotterranee che c'erano a Mauthausen che fabbricavano aerei, respiratori, cose così.
Lui aveva una gratitudine commossa e commovente anche, verso i suoi quelli che io chiamavo i suoi due angeli custodi, che erano due sovietici non russi che l'hanno messo in mezzo e lavoravano anche per lui perché papà era un uomo che si dava molto da fare, ma era un mancino corretto non aveva molta manualità".

"LA MALATTIA NELLA PRIGIONIA, SI LAVAVA SEMPRE CON L'ACQUA FREDDA"

Adriana spiega ancora: "Io gli dicevo "ma papà gli aerei precipitavano perché tu non eri capace?" Un po' rispondeva lui, ma soprattutto, loro li sabotavano". Io chiedevo, ma lui non parlava volentieri delle cose più orribili di Mauthausen, le cose venivo a saperle piano piano da mamma. Lui si lavava, si è sempre lavato con acqua fredda, anche dopo poteva avere quella calda, perchè lì non avevano asciugamani. Queste cose le ho sapute da una figlia di un altro deportato, quindi prese la polmonite, lei può immaginare come poteva essere un campo di eliminazione, l'obiettivo era farli morire di fame, di fatica e di lavoro, ma loro e gli spagnoli rubavano le medicine dei camion, veloci come dei gatti, velocissimi, per questo ha superato la polmonite. Invece un giorno durante una gita in montagna gli chiesi di una cicatrice che aveva sulla gamba, lui mi aveva detto che si era ferito ed infettato nella fabbrica con la limatura di ferro entrata nella ferita, allora hanno arroventato un cucchiaino di latta e scavato via la parte con il pus, infettata, e poi l'hanno fasciato con la carta igienica. Questo perchè se si finiva in infermeria si finiva come Eros Lanfranco, che era stato ucciso da un'iniezione di benzina. Finire in infermeria significava morire, essere fucilati o uccisi a colpi di calci di fucile. Papà ha avuto la grande fortuna, una grandissima solidarietà".

La cosa che l'ha colpita e le ha fatto più orrore dell'esperienza del papà?

"Essendo una bambina è stato il fatto di non averlo, perché mia cugina ce l'aveva e io no, però capivo che la situazione era particolare, i bambini non sono stupidi, avevamo tutta la famiglia perseguitata, mia madre è finita al muro con mia zia e per fortuna non l'hanno fucilata. Ma se finiva anche lei io ero fritta.
La solidarietà è fondamentale.

Io poi ho capito delle cose molto belle e sono molto fiera della famiglia che avevo, che ha rischiato molto, ma abbiamo avuto la fortuna che sono tornati tutti vive poi, altri no".

IL PRETE PARTIGIANO

"La solidarietà era importante - ribadisce Adriana -, ma la cosa che ho saputo dopo e che forse che mi ha colpito di più l'ha scritta Andrea Gaggero quando è morto papà, un articolo in cui lui, che era seguito dagli uomini di Siri che non era molto favorevole a tante cose, ed è stato mandato a Subiaco, una sorta di confino della chiesa, dopo il campo di concentramento, dove è stato torturato perché era un prete. Lui la cava di pietra se l'è fatta tutta e si è ammalato di tubercolosi, dopo tutto questo la chiesa l'ha mandato a Subiaco, io ero molto indignata di questo, ma lui mi disse "anche nelle situazione più estrema trovi qualcuno che ti aiuta perché dalle fessure del chiostro un contadino mi passava pane e prosciutto", quindi io ho vissuto con persone che mi dicevano ciò che nel male si può trovare di bene" sottolinea la figlia di Furlini.

"In quell'occasione, questo è importante, spiega ancora Adriana - dopo la morte di papà, Gaggero scrive che una volta, a Mauthausen, papà lo vede per terra perchè stava morendo di fame, e allora gli porta una scodella di zuppa che lui divora. Scopre solo dopo che papà gli aveva detto di non avere fame per non mangiare la sua torta di zuppa e darla a lui e salvargli la vita".

"SOLIDARIETA' FONDAMENTALE"

"Allora ho imparato è che se non salvi il tuo amico sei morto prima ancora che ti ammazzino, la solidarietà è fondamentale, nessun regime la desidera perché se siamo divisi è meglio, loro erano uniti e quindi si sono aiutati. Quando hanno saputo dalla radio della Liberazione di Genova lui si è disperato, questo lo scrive sempre Andrea Gaggero in un libro delizioso che non si trova più. Si è disperato perchè si è reso conto che ci vedranno in queste condizioni e quando io gli ho detto Ma no, vedrai che andrà tutto bene, insomma, è andato relativamente bene per loro e alla fine quando il campo sarà liberato io dirò la messa e voi canterete l'Internazionale. E vabbè così fu in effetti".


Ricorda l'emozione del giorno in cui ha rivisto suo papà libero?

"Lo ricordo benissimo, c'è stata una festa grandissima, eravamo qua in Albaro nella casa di mia nonna materna con mio zio Adriano, il leggendario Ardesio che era il compagno di lotta di mio padre che aveva organizzato la sesta zona di Genova, e mi facevano la trecce e dicevano "arriva, arriva, arriva". La prima a riconoscerlo era stata una zia materna che aveva organizzato i rientri dei deportati, che erano stati dimenticati, nessuno aveva pensato ai deportati, e quindi lei aveva organizzato un campo a Bolzano". 

"QUANDO LO RIVIDI GLI DISSI: NON SEI MIO PAPA'...

"Quel giorno pioveva, lei faceva uno zabaione di 12 uova per tutta sta gente che arrivava disperata, e vede all'orizzonte due persone, e riconosce papà dal passo, la nostra camminata uguale alla mia, si corrono incontro scivolano nel fango ed è così che poi vedete la foto lì su un camion dove papà è l'unico con la camicia bianca e arriva da Milano con una macchina rossa decappottabile non so perché dalla nonna. Avevo tre anni e vedo quest'uomo, che sembrava non così magro, perché era gonfio per la fame ma pesava 47 kg ed era alto un metro e 85 e mi viene incontro con un sorriso bellissimo, e dico "non sei mio papà" perché non c'era prima e quindi... poi insomma. Il rientro è stato emozionante"

E lui cosa ha detto?

"Mi ha abbracciato, io avevo molta soggezione di mio padre, non lo conoscevo e lui secondo me poi per il lavoro che ho fatto dopo anche per questo mi ha trasmesso inconsapevolmente le angosce che aveva e io non riuscivo a parlargli e sapevo che non sentivo di non potere di chiedere più di tante cose".


"SE SENTIVA PARLARE TEDESCO SVENIVA"

"Una cosa che lui raccontava "era un posto in cui per esempio si dormiva tutti insieme, su queste su questi ripiani, diciamo, e ti davano una frustata e così ti facevi piccolo piccolo e ce ne stavano di più. Il massimo che lui raccontava era questo e non ha più potuto sentire parlare tedesco, anche se la mamma lo parlava come l'italiano, perché sveniva se lo sentiva parlare.

"GOVERNO NON RIESCE A DIRSI ANTIFASCISTA"

 

Sono passati 79 anni dalla Liberazione, quel sacrificio è stato capito? Le nuove generazioni hanno capito?


"Io non lo so, la parola sacrificio in casa nostra non è stato mai usata ed è giusto che la usino gli storici e le persone come lei che mi fanno le domande, perché è stato un sacrificio, ma un sacrificio che non è stato riconosciuto, queste persone sono state perseguitate anche dopo in quanto comuniste, per esempio, non è che mio padre sia stato così tanto omaggiato. Io me la ricordo tutte le elezioni successive, quelle del 1948 in particolare. Quindi di fatto no, non è stato capito

I ragazzi non hanno capito o dovranno capire, dipende da noi, adesso abbiamo il 25 Aprile che non è tanto desiderato dal governo in carica perché probabilmente pur avendo giurato sulla Costituzione che è il frutto dell'antifascismo, qualcuno dei ministri ha detto che non c'è scritto antifascista ed è quantomeno faticoso dire che si è antifascista"-

Faticano a dire antifascismo?

"Faticano perché non hanno riconosciuto gli errori fatti, io sono cresciuto in una famiglia in cui le persone dicevano si ho sbagliato. Sì potrebbe accadere ancora, tutte le cose che sono accadute nella storia sono sempre tornate, se non si è vigili. Ebbene mi ricordavo una cosa, secondo me: mio padre è stato un deportato politico e quando gli chiedevo come hai fatto a resistere in quelle condizioni così terribili in cui sapevi che volevano vederti morto, ammazzarti, lui rispondeva: io sapevo perchè ero là, loro no".

Vuol dire essere consapevole dove si è, come si è e chi si è, e perché si è, essere consapevoli, avere una propria identità consapevole nel mondo. Cosa vuol dire questo, senza togliere assolutamente nulla, anzi, alla tragedia della deportazione razziale data dalla legge razziale che sono venute dopo la repressione dell'opposizione.

"OGNI STATO AUTORITARIO FA FUORI L'OPPOSIZIONE, ATTENZIONE..."

"Qualsiasi stato autoritario e repressivo prima fa fuori l'opposizione, come? In qualche cosa che comincio a vedere da un po': la denigrazione, il ridicolo, l'aggressione verbale, morale e poi fisica". 

"FASCISMO FONDATO SULLA VIOLENZA E SULLA CENSURA..."

"Il fascismo era fondato sulla violenza, noi qui stiamo vedendo la denigrazione e la derisione, lo scrittore Scurati, la censura, la mancanza di libertà e di espressione, quando si dice che il 25 Aprile è una festa divisiva, lo può solo dire coloro che ha nostalgia di ciò che c'era prima, c'è una bella intervista che circola su Yuotoube di Luciano Canfora, sulla storia del 25 Aprile. Io vado sempre alla manifestazione del 25 Aprile che mi commuove e mi rende fiera, una cosa che non tanti genovesi sanno, è sentire leggere l'atto di resa dei tedeschi, un po' retorica, pazienza, con quello che avevano passato,

"QUELL'ATTO DI RESA DEI TEDESCHI A GENOVA"

"Sentire l'atto di resa dei tedeschi è importante perché Genova forse l'unica città d'Europa, liberata il cui atto di resa è stato firmato nelle mani di un operaio, Remo Scappini, perché le bande partigiane e il comando del CNL hanno liberato la città prima dell'arrivo degli alleati, è chiaro che c'era stato l'arrivo e della collaborazione degli alleati, mi ricordo quando mi raccontavano delle parole d'ordine. Il fatto che in questa città quando sono arrivate gli alleati hanno detto What a wonderful job. Cioè era tutto funzionante perché il Cnl aveva fatto funzionare la città. Io sono da mio zio Adriano Ardesio, che andò a Bristol dove c'era il figlio di Churchil , stivaloni, mani sui fianchi, che stava già distribuendo la città, e gli disse, "al tavolo della Pace ci sediamo noi".

L'ultimo ricordo di suo padre?

"La sera prima che lui morisse, ed è morto nel giorno del compleanno di mia madre, io gli avevo detto che volevo iscrivermi al Partito Comunista, lui rispose, non c'è bisogno, guarda mia madre non ha mai preso la tessera, è una donna molto impegnata, ne parliamo domani, adesso sono un po' stanco, generalmente alle 11 andava a dormire, non è essenziale che tu prenda la tessera se vuoi fare politica, l'unica cosa che è importante è che le persone ti piacciono per come sono e non per come vorresti che fossero sennò è troppo facile, direi che questo è un insegnamento vitale",

E allora Buon 25 Aprile Adriana Antolini

 

 

 

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