Cronaca

Dopo essere passati questa mattina dal Tribunale di Imperia, alle 11 i due sono stati trasferiti
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GENOVA - Sono stati trasferiti in due diversi carceri italiani i due detenuti marocchini che hanno sequestrato e torturato due italiani nel carcere di Sanremo tra cui il killer Alberto Scagni, ora in coma farmacologico dopo le violenze subite.

Dopo essere passati questa mattina dal Tribunale di Imperia, alle 11 i due sono stati trasferiti (LEGGI QUI). Il provvedimento è stato disposto dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria a conclusione del procedimento per direttissima che si è svolto oggi. Lo si apprende da fonti del Dap.

I legali di Alberto Scagni, gli avvocati Alberto Caselli Lapeschi e Mirko Bettoli, hanno anche depositato un esposto in procura a Imperia per fare luce sul pestaggio. Secondo i difensori Scagni, che è stato condannato a 24 anni e sei mesi per l'omicidio della sorella Alice oltre a essere stato dichiarato semi infermo, "non avrebbe dovuto stare in una cella con altre due persone".

Lapeschi e Bettoli, inoltre, lamentano le mancate comunicazioni da parte del carcere di Marassi, dove nelle scorse settimane Alberto era stato già aggredito, e dalla casa circondariale di Sanremo "nonostante i solleciti e le Pec". Il killer verrà svegliato con ogni probabilità lunedì. A quel punto i medici faranno altri accertamenti.

"Si vede - commenta il segretario regionale della Uil Fabio Pagani - che l’ultima circolare diramata dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, Giovanni Russo, tanto decantata sulla stampa, dal Sottosegretario al Ministero della Giustizia, Andrea Ostellari, e finalizzata a contenere la spirale di violenza che si registra nelle carceri, con continue aggressioni al personale, risse fra detenuti e, talvolta, persino omicidi, non sembra affatto risolutiva e, anzi, pare ripercorrere le direttive già vigenti e, per lo più, inattuate".

"La violenza e le aggressioni alla Polizia penitenziaria, oltre quattro al giorno quelle più gravi, si combattono con la sicurezza, la prevenzione, l’organizzazione, gli equipaggiamenti e, quando occorre, con la repressione concreta. Il mero trasferimento dei detenuti facinorosi, per quanto a volte necessario proprio per la mancanza di tutto quanto anzidetto, non solo non è risolutivo, spostando il problema da una parte all'altra, ma aggrava il già insostenibile carico di lavoro del Corpo di polizia penitenziaria che deve
operare le traduzioni, finendo per ripercuotersi proprio sui livelli di sicurezza e così alimentando un circolo vizioso”, spiega il segretario della UILPA Polizia Penitenziaria.