GENOVA - Si è presentato in aula senza la sua caratteristica barba Michele Donferri Mitelli, architetto ex responsabile delle manutenzioni di Autostrade per l'Italia, ritenuto con l'ex amministratore delegato Giovanni Castellucci quello che ha più responsabilità per il crollo del viadotto Polcevera.
Mitelli, imputato nel processo per il crollo di ponte Morandi, è arrivato nella tensostruttura all’interno del palazzo di giustizia di Genova per delle dichiarazioni spontanee.
In aula è tornato anche il pubblico ministero Terrile, uno dei registi delle indagini insieme ai pm Cotugno e Airoldi, assente alle udienze da gennaio. Presenti nella tensostruttura anche diversi famigliari delle 43 vittime del crollo, tra cui Emmanuel Diaz e Paola Vicini.
Un momento importante nel processo, in quanto, secondo la procura, l'ex manager e Mitelli "era di fatto l'esecutore materiale della filosofia dell'ex amministratore Castellucci mirata al risparmio sulle manutenzioni per garantire maggiori dividendi ai soci".
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Al centro dell'udienza alcuni report co-firmati dall'architetto Donferri ma soprattutto uno, datato al 1991, dove si parlava delle prove riflettometriche, secondo l'accusa il metodo principale (quando non esclusivo) usato per 20 anni per verificare la sicurezza del ponte Morandi, nonostante si tratti di un sistema - sempre secondo i pubblici ministeri - inadatto. In parole povere, delle radiografie delle pile: una tecnica che però non viene usata in nessun altro paese.
Nel report, Donferri si diceva diffidente e per questo scriveva "che il difetto non era quantificabile solo con le prove riflettometriche".
"Ero diffidente rispetto al metodo - continua al banco degli imputati -, perché non aveva taratura e quindi il dato non era riscontrabile. Il salto di qualità sarebbe stato la standardizzazione del metodo con taratura".
Opinione che però muta nel tempo, visto che anche durante il suo periodo da responsabile delle manutenzioni le prove riflettometriche sono state il principale metodo di verifica del viadotto. Al centro anche le pile 9 (quella che crollò il 14 agosto 2018 uccidendo 43 persone) e 10, oltre che due prove riflettometriche effettuate nel 1993. Sulla pila 11, infatti, le prove erano state fatte nel ‘91, dopo la scoperta di una parte di sezione dove una porzione di acciaio si era corrosa.
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Su quella parte di ponte vennero effettuati lavori di rinforzo, gli stessi che sarebbero dovuti essere fatti sulle altre pile ma che, poi, non partirono mai. Il famoso "retrofitting" per cui serviva la revisione dell'ingegnere Francesco Pisani, allievo di Riccardo Morandi, l'uomo che Donferri avrebbe spacciato per morto al Ministero delle infrastrutture.
Sul progetto ci sono degli audio, risalenti a una riunione del 2017 e registrati di nascosto dal progettista incaricato del retrofitting Massimiliano Giacobbi, dove si sente proprio Donferri Mitelli dare istruzioni perché l'intervento venisse classificato come "miglioramento", evoluzione e non come "manutenzione".
"Non dovrai mai in nessun documento parlare di manutenzione", dice Donferri a Emanuele De Angelis, ex dipendente di Spea, coprogettista dell'intervento di rinforzo, ora imputato nel processo.
Durante l'udienza sono state anche lette in aula diverse frasi tratte da uno scambio telefonico tra Donferri e Giacobbi, con al centro sempre il progetto di retrofitting. Risposte animate da parte dell'ex numero tre di Aspi, tanto che il presidente del collegio giudicante Paolo Lepri lo ha più volte ripreso: "Mitelli non si arrabbi non c'è bisogno".
Verso la fine della prima udienza una trascrizione di una telefonata con Fabio Brancaleoni, ingegnere strutturista e docente ordinario alla Sapienza di Roma, uno dei maggiori esperti di ponti ferroviari e stradali che aveva alla fine del 2015 ricevuto con la sua azienda, la Edin, un incarico di consulenza nell'ambito del progetto di retrofitting che doveva rinforzare gli stralli delle pile 9 e 10 del ponte.
“Del progetto di retrofitting seppi a febbraio 2017 "quando me ne parlò Di Taddeo (un altro dei 58 imputati). Lui era molto insicuro e soffriva molto le pressioni di Berti". Donferri chiese a Spea di "togliere di mezzo Lanfranco Bernardini (altro imputato) perché lui si occupava di altro".
L'ex manager ha poi raccontato di avere saputo "solo dopo il crollo" che nel 2014 i sensori erano stati tranciati e mai sostituiti. "Era una cosa imbarazzante, una sciatteria. Alcuni erano stati mangiati dai topi. Era una delle omissioni che Di Taddeo poteva evitare".
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