Cronaca

Molinari, terrorizzato dal compagno di cella, si era accordato con un altro detenuto che in caso d'emergenza avrebbe urlato "ovvio, ovvio", ma neppure questo gli è servito ad evitare di essere massacrato. Tre giorni prima il killer gli aveva rotto il naso
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GENOVA - E' un omicidio che poteva e doveva essere evitato quello di cui è stato vittima in carcere Roberto Molinari (a sinistra), persona dal punto di vista psichiatrico fragile, ucciso nella branda superiore del letto a castello dove dormiva, massacrato nel sonno, come provato dall'autopsia, dal compagno di cella violento, Luca Gervasio (a destra), anche lui visibilmente squilibrato, ma che dopo il delitto sembra avere fatto una lucida messinscena per spacciarsi folle.

Trovato apparentemente in tranche su un lenzuolo e sporco di sangue, come a dimostrare che era in stato confusionale, l'uomo però prima aveva ripulito il pavimento dal sangue, gesto di grande lucidità per cercare di cancellare le tracce del delitto.

Le indagini della sezione reati contro la persona della squadra mobile diretta da Gianfranco Minissale e coordinate dal pm Gabriella Marino hanno permesso di ricostruire ogni dettaglio del delitto avvenuto la mattina del 13 settembre al primo piano della sesta sezione del carcere di Marassi, a Genova.

Gli investigatori hanno interrogato gli agenti della polizia penitenziaria in servizio nel piano e altri detenuti accertando che la vittima viveva nel terrore del compagno di cella, appunto Luca Gervasio, già noto come persone violenta anche in carcere visto che aveva già tentato di ammazzare un compagno di galera con una penna. Non solo: Gervasio (difeso dall'avvocato Simone Bertucci) tre notti prima aveva già picchiato a sangue e spaccato il naso a Molinari, lui però ai poliziotti aveva cercato di negare dicendo che era caduto dal letto.

E' stato scoperto poi che Molinari era talmente spaventato di Gervasio che d'accordo con un altro recluso suo amico aveva fissato una parola d'ordine, "ovvio, ovvio", che doveva gridare in caso di aggressioni o altre emergenze, per avvertire del pericolo chi era fuori dalla cella. Ma neppure questo non è servito a evitare di essere ucciso.

I poliziotti penitenziari e il personale medico però avevano capito che in quella cella la situazione rischiava di degenerare e avevano convocato i due reclusi per un chiarimento, incontro fissato per due giorni dopo. Non solo. Che l'assassino fosse monitorato arriva anche da un altro particolare: la notte prima del delitto un agente era entrato nella cella e aveva chiesto a Gervasio "perché dici a Molinari di non fare la spia? Vuol dire che hai fatto qualcosa".

 
Ma tutto questo non ha fermato l'assassino. La mattina del 13 settembre ha afferrato le gambe di un tavolo e uno sgabello e ha colpito nel sonno Molinari, uccidendolo. Pare che fargli perdere la testa sia stato il russare del compagno, perché a lui per diventare violento bastava un nulla. Poi si è rimesso a letto, quindi quando si è accorto che gli agenti stavano scoprendo il cadavere si è fatto trovare mezzo nudo rannicchiato su un lenzuolo sporco di sangue.

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