GENOVA -"La speranza che qualcosa si muova c'è, ma il risultato negativo del Dna che non risolve credo che costituisca un grave impedimento per arrivare alla soluzione del caso visto che sono passati tanti anni".
Lo dice a Primocanale Marco Soracco, il commercialista di Chiavari nel cui studio di via Marsala il 6 maggio del 1996, esattamente ventisette anni, venne fa veniva uccisa la segretaria Nada Cella.
Il caso è stato riaperto due anni dalla criminologa Antonella Delfino Pesce che ha scoperto alcuni indizi rilevati nel '96 dai carabinieri e mai rivelati alla polizia titolare delle indagini.
Primo fra tutti i bottoni sequestrati nella casa di una donna, Anna Lucia Cecere, allora indagata e sbrigativamente archiviata, bottoni uguali a quello sequestrato sul luogo del delitto. Non solo: è spuntata anche una supertestimone a cui Cecere avrebbe confidato il suo acredine nei confronti della vittima. Per questo la donna, che vive a Boves (Cuneo) è stata di nuovo indagata, anche se lei si dice innocente, "fantasie, illazioni, io quel giorno ero a lavorare a Sestri Levante".
Soracco per anni con il suo carattere chiuso e poco empatico, freddo, come lui stesso ammette, è stato per tutti il ritratto del mostro perfetto, tanto perfetto che gli inquirenti, magistrato di allora Filippo Gebbia su tutti, hanno commesso l'errore che nessuno investigatore dovrebbe mai commettere: indagare solo su una sola pista. Scavando esclusivamente sulla vita del commercialista e trascurando tutto il resto: un abbaglio forse risultato fatale alle indagini.
Eppure contro l'indagata c'erano già allora tanti indizi: testimoni che l'avevano vista uscire dal palazzo all'ora del delitto e salire sul suo scooter, due telefonate anonime, la posizione di Cecere però allora venne archiviata nel giro di pochi giorni, senza neppure verificare se aveva un alibi, che allora sarebbe stato facile da controllare, ora invece quasi impossibile da accertare.
IL COMMENTO
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