Cronaca

In aula i funzionari dal Cesi, azienda che nel 2017 suggerì - inutilmente - di installare un sistema di monitoraggio dinamico sugli stralli. Domani tocca a Maurizio Morandi, figlio del progettista, che parlerà del progetto e del collaudo del ponte
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GENOVA - I sensori che avrebbero dovuto monitorare i movimenti di ponte Morandi, il viadotto sul Polcevera crollato il 14 agosto 2018 causando la morte di 43 persone, non vennero installati nonostante fossero stati tranciati nel 2015 durante alcuni lavori all'impalcato e caldeggiati dal Cesi nel 2017.

Lo sostengono i magistrati che hanno indagato 58 persone fra cui i vertici di Autostrade per l'Italia e di Spea ora sul banco degli imputati per la tragedia del viadotto Polcevera.

Una cronistoria confermata agli inquirenti dal geologo di Cesi Giuseppe Paolo Stigliano, il secondo dei cinque testi che saranno ascoltati oggi alla ripresa del processo Morandi nella tensostruttura di palazzo Giustizia.


Stigliano coordinò lo studio propedeutico del progetto di retrofitting, il rinforzo delle pile 9, quella crollata, e dopo la strage disse agli inquirenti che se il 14 agosto 2018 sul ponte Morandi fosse stato in funzione un sistema di monitoraggio dinamico, come suggerito nel 2017 dal Cesi, sarebbero aumentate in modo significativo le possibilità di acquisire segnali d'allarme abbastanza anticipati da consentire l'adozione di provvedimenti quali la limitazione o l'interruzione del traffico sull'opera.

Il professionista lo disse quando fu interrogato dal pm Massimo Terrile. I tecnici di Cesi avevano rilevato un'anomalia sulla pila 10 e avevano suggerito ad Aspi di installare un sistema di monitoraggio dinamico per controllare l'andamento anche in base alle sollecitazioni continue cui era sottoposto il viadotto.
"E' evidente che il sistema di monitoraggio solo statico, e sul solo impalcato, non poteva in alcun modo fornire informazioni utili sulla sicurezza complessiva del manufatto - aveva detto l'ingegnere al pm - che, per sua natura, era sottoposto a sollecitazioni dinamiche non soltanto causate dal peso del traffico veicolare ma anche, ad esempio, dal vento".


Durante l'interrogatorio il pm Terrile aveva espressamente chiesto se il 14 agosto sul viadotto Polcevera fosse stato installato un sistema di monitoraggio dinamico sarebbero aumentate in modo significativo le possibilità di acquisire segnali d'allarme abbastanza anticipati da consentire l'adozione di provvedimenti quali la limitazione o l'interruzione del traffico sull'opera.
La risposta di Stigliano non lasciava spazio a dubbi: "Sicuramente sì".

Il sistema di monitoraggio che avrebbe messo in sicurezza sarebbe stato installato in tre mesi. Ma perchè Aspi poi si tirò indietro? Per investire denaro? O per non essere eventualmente costretta a interrompere il traffico sul viadotto rinunciando così gl incassi per quel tratto di autostrada?


Che quella di non monitorare il Morandi fosse stata "una vera follia" lo aveva detto Domenico Andreis, altro dirigente di Cesi che sarà ascoltato oggi in aula.

Se c'era qualcosa da monitorare con attenzione nella rete autostradale italiana - aveva dichiarato - è proprio il Ponte Morandi. Per opere di questo genere, aveva aggiunto, "quel tipo di verifiche sarebbero dovute essere obbligatorio per legge".
   

Dall'inchiesta dei finanzieri e dei pm trapelò che inspiegabilmente i sensori del ponte Morandi non vennero installati nonostante fossero stati tranciati nel 2015 durante alcuni lavori e caldeggiati dal Cesi nel 2017.


Quei sensori, secondo la ricostruzione dei finanzieri del primo gruppo coordinati dal colonnello Ivan Bixio, un anno prima della rottura avevano fornito i dati con cui era stato stilato nel 2014 il documento in cui venne scritto che il ponte Morandi era a “rischio crollo”, unico viadotto in tutta Italia a riportare quella dicitura.

Per gli inquirenti, quel documento dimostrerebbe che la società era a conoscenza dei rischi e che non fece nulla. Una circostanza che potrebbe portare alla contestazione del dolo eventuale e non più a una contestazione colposa.

Domani fra i testi del processo ci sarà anche Maurizio Morandi, 83 anni, ingegnere civile, professore in pensione dell'Università di Firenze, uno dei due figli del progettista Riccardo, deceduto nel 1989, che potrebbe fare chiarezza sul collaudo tecnico-amministrativo avvenuto il 10.8.1971, dal quale risulta che il collaudo statico era stato eseguito in data 22.8.1970, 3 anni dopo l’apertura al traffico, in palese e violazione delle norme di legge.

Non solo, è trapelato che la pila 9 del Ponte, perché l'ultima ad essere costruita, fu quella oggetto di minore attenzione e non fu interessata da nessuna prova di carico. Nonostante la mancanza del collaudo finale dell'opera, il viadotto fu inaugurato in data 4.9.1967 dal Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e poi aperto alle auto.

Morandi pochi mesi dopo la tragedia rilasciò un'intervista al Corriere della Sera in cui difendeva la memoria del padre, ma nei giorni scorsi però ha prima accettato e poi rifiutato di parlare con Primocanale per non innescare altre polemiche ed essere strumentalizzato. "Vada a rivedere quell'intervista, la mia posizione è rimasta la stessa" disse con grande gentilezza ma deciso.

Un'intervista, quella del 2018, in cui l'erede di Morandi aveva detto: "Molti hanno cercato di demolire mio padre e il suo progetto, la strada più semplice per trovare un capro espiatorio visto che mio padre è morto da trent'anni. Cinque giorni dopo il crollo, un giornale titolò a tutta pagina che era scomparso il progetto originario di mio padre. Invece era dov’è sempre stato dal 1992, all’Archivio di Stato, consultabile a piacimento».

Sulle critiche al progetto Maurizio Morandi non si fa illusioni: "Fuori, questo marchio di infamia persiste, malgrado sia stato chiarito che il progettista non aveva alcuna responsabilità». E a chi ipotizza che il crollo sia avvenuto per colpa degli stralli, Maurizio Morandi rispose piccato: "Nel mondo ce ne sono migliaia di ponti strallati, fatti in quel modo. Bastava fare le ispezioni. Bastava non essere sciatti. Mio padre aveva denunciato più volte l’esigenza di fare manutenzione sul “suo” ponte».


Maurizio Morandi aveva spiegato di avere lottato per difendere la memoria del padre. "Un ottuagenario che si batte per l’onore di un uomo scomparso da trent’anni. Proprio vero che nella vita può succedere di tutto. L’ultima mostra del Beaubourg di Parigi prima della grande ristrutturazione di fine anni Novanta fu dedicata proprio a papà. Un grande dell’ingegneria civile mondiale, diceva la brochure. Mi sembrava impossibile che un uomo studiato e ammirato in tutto il mondo, finisse in un cono d’ombra nel suo Paese».

Quando crollò il ponte fu un duro colpo per Maurizio Morandi. "Mi chiamò mio figlio, dicendomi che era crollato il Polcevera. Sa, noi non lo abbiamo mai chiamato il Morandi. Il senso di incredulità mi rimase addosso per giorni. Oltre a quello per le vittime, c’è stato anche un dolore più privato. La perdita di un gioiello di famiglia. Era il ponte che papà amava di più. Ne eravamo tutti orgogliosi».

Morandi quando tre mesi dopo dalla tragedia fu interrogato dai finanzieri negli uffici di lungomare Canepa disse che il progetto del ponte era stato depositato presso l'archivio generale di Stato di Roma completo di ogni parte nel gennaio del 1993.

Da allora tutte le attività di consultazione del materiale redatto dal padre devono essere autorizzate dai due eredi, ossia Maurizio e il fratello maggiore Bruno, anch'esso ingegnere in pensione. Consultazioni che se mirate a studi o ricerca sono gratuite (e gli eredi hanno concesso molti accessi al progetto), mentre per attività professionali è soggetta al riconoscimento dei diritti d'ingegno agli eredi.

L'unica consultazione per lavoro al progetto è stata quella del luglio del 2015 dell'ingegnere Fabio Brancaleoni per conto della società Edin.

Brancaleoni, professore di Scienza delle Costruzioni all'università La Sapienza, della società Edin di Roma, fra il 2015 e il 2017 fu chiamato da Aspi a compiere uno studio sul viadotto. Il problema è che dopo avere effettuato il 30% di lavoro e indicato in quali condizioni eseguire i successivi controlli, alla fine Aspi decise di non fare nulla, come raccontò Brancaleoni alla guardia di finanza. Autostrade, infatti, nel 2016, improvvisamente, decise di interrompere la consulenza, senza dargli spiegazioni. Per questo anche Brancaleoni è fra i testi che oggi saranno ascoltati in aula.

Già sentito dai finanzieri, l'ingegnere aveva riferito ad Autostrade per l'Italia che per effettuare i dovuti controlli sul ponte Morandi sarebbero stati indispensabili ulteriori esami ritenuti invasivi: aprendo il cemento e facendo verifiche endoscopiche sull'acciaio per accertarne il livello di corrosione.

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