Cronaca

L'allievo del progettista Codacci Pisanelli svela che a volere i cavi nell'acciaio furono i costruttori. Ma la storia dell'ingegnere dice il contrario
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GENOVA - L'ingegnere Riccardo Morandi scrisse già nel 1981 una relazione sul ponte Polcevera in cui mette in guardia delle problematiche della costruzione del viadotto affermando che la pila 9 era la più critica di tutti perché era stata deformata durante la costruzione. Fra i problemi rilevati la non iniezione delle guaine che avrebbero dovuto proteggere i cavi dalla corrosione.


Lo afferma Emanuele Codacci Pisanelli, il superteste al processo sulla tragedia del ponte Morandi, che ha poi ha aggiunto che la relazione era stata inviata ai costruttori della società Condotte "e al Ministero delle Infrastrutture, relazione che Pisanelli dopo il crollo avrebbe consegnato anche alla commissione ministeriale, "la antenna h", la 9, l'ultima costruita, scrive ancora Morandi, è stata soggetta a pressioni quando ancora non era stata ispezionata e controllati con raggi x per vedere se era stata iniettata, procedure invece effettuate per le altre due pile, Morandi pone già allora dubbi sulla "corretta iniezione delle guaine degli stralli della pila 9.

Non solo, Codacci Pisanelli ha affermato anche che i cavi di acciaio nelle pile in calcestruzzo erano state imposte dalla ditta costruttrice, la Condotte, mentre Morandi aveva pensato a cavi esterni come un ponte simile costruito a Maracaibo. Una precisazione che però non trova conferma nella storia professionale di Morandi che ha costruito più ponti strallati con pile in acciaio, mentre il ponte di Maracaibo sarebbe stato modificato con cavi esterni da un altro progettista, motivo che aveva portato a una lite fra lo stesso e l'ingegner Morandi.

Morandi, ha aggiunto il suo allievo, "non è mai stato il direttore dei lavori, però poneva una persone di di sua fiducia che controllasse la costruzione. Lui di solito andava a fare un sopralluogo prima della costruzione, il suo uomo di fiducia di solito era Vinelli. Sul Polcevera il suo uomo di fiducia era Claudio Cherubini, genovese, mentre il direttore dei lavori era stato più volte sostituito. I lavori del Polcevera ebbero molti problemi, non partivano mai.

Codacci ribadisce che per mettere in sicurezza la pila 9 bisognava "rifare le guaine o mettere cavi esterni, come è stato fatto per la pila 11, progetto in cui io ho lavorato insieme all'ingegnere Pisani confrontandosi con l'ingegnere di Autostrade per l'Italia Camomilla (fra gli imputati) nell'aprile 92, che ci ha poi dato incarico di effettuare lo studio per trovare il miglior sistema di ancoraggio dei trefoli, e questo avvenne nel maggio del 92.

Codacci poi è entrato nel cuore della sua testimonianza, l'incontro con i vertici di Autostrade negli anni '90 di cui aveva parlato in alcune email il collega Paolo Rugarli, perito delle parti civili Possetti e Bellasio che ne ha poi svelato il contenuto in aula: "Nel '93 i una riunione ho prospettato all'ingegnere Camomilla di effettuare le indagini già svolte sulla pila 11 anche sulla 9  sulla 10 perchè in base a principio di ingegneria che se in un certo elemento si rilevano problemi, lo stesso controllo doveva essere effettuato su elementi analoghi, in questo caso sulle pile 10 e 9 per verificare se c'erano stati problemi di costruzione e di iniezione nelle guaine utilizzando un carrello per arrivare sullo strallo, e utilizzando sonde per verificare se all'interno c'erano cavità e poi endoscopie.  Poi incontrai anche architetto di Autostrade Donferri (altro imputato) con cui insistetti per fare questi interventi, mi venne detto che non c'era bisogno di queste indagini perchè loro avrebbero utilizzato le prove nuove riflettometriche e anche prove dinamiche, e mi disse questo anche in modo determinato che non ne voleva più parlare, tanto che io poi non l'ho più visto".

Codacci riferì all'architetto Donferri che le prove riflettometriche erano a suo avviso "totalmente inutili": "Le prove dinamiche su una struttura precompressa non forniscono nessuna risultanza, se non ho un trefolo di riferimento non posso capire come sono cambiate le caratteristiche dello strallo. Le riflettometriche erano inattendibili, vietate in Inghilterra e Francia erano non svolte negli Stati Uniti e neppure in Svizzera, e dissi a Donferri che di quelle prove ne parlavano solo loro e Nava, il tecnico che le eseguivano. Mi scontrai con loro perchè ritenevo inattendibile il modo in cui controllavano le pile 9 e 10. Da quei giorni non ho più lavorato più con Autostrade per l'Italia, non mi chiamarono mai più".

Codacci poi sottolinea: "L'ingegnere Camomilla alla fine dell'incontro in cui invitavo a fare quei lavori sulle pile 9 e 10 mi congedò dicendo che il nostro rapporto di rapporto finiva lì. Con gli ispettori della commissione ministeriali che ho incontrato dopo il crollo, nel settembre 2018, non ho parlato di questi scontri con i funzionari di Autostrade perchè a loro interessavano solo delle cause del crollo". 

In aula fra gli imputati c'è l'imputato numero uno di Autostrade per l'Italia Giovanni Castellucci, ex Amministratore delegato di Aspi, e alcuni familiari delle vittime fra cui Egle Possetti il portavoce del comitato dei familiari. Possetti che in una pausa della deposizione di Codacci Pisanelli ha ribadito: "Avere la conferma che già nel 1992 si erano scoperti problemi sulla pila 9 non è una novità e comunque a maggior ragione Autostrade per l'Italia ha avuto tutto il tempo di intervenire per evitare la tragedia del 14 agosto del 2018".

 

L'avvocato Raffaele Caruso del Comitato familiari vittime del Morandi ha chiesto a Codacci Pisanelli se erano già a conoscenza di eventuali difetti nella costruzione e dell'inadeguata iniezione nelle guaine dei cavi della pila. Il teste ha risposto così: "Si, ne eravamo a conoscenza dal 5 luglio del 91 quando l'ingegnere Camomilla ci aveva fornito le foto degli ammaloramenti e sulla mancata iniezione io non avevo dubbi che fosse così perchè nel cantiere del Morandi non c'era una macchina in grado di iniettare il materiale in verticale".

Caruso ha poi domandato se c'erano punti del ponte più a rischio? Codacci, che allora lavora per la sua azienda, la Contest, ha risposto che i punti più critici erano gli stralli per la corrosione che era difficilmente prevedibili, quanto ero preoccupato? Poco, perchè l'acciaio si è dimostrato poco duttile, pur sempre garantiva un 50% di solidità prima delle rottura, che si poteva diagnosticare attraverso le fessurazioni". 

 

 

 

 

 

 

 

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