Cronaca

Michela guidava la Panda: accanto aveva il figlio, dietro portava due suoi amici
4 minuti e 29 secondi di lettura

Michela Meo era alla guida della sua Panda il 14 agosto 2018. Stava accompagnando il figlio Marcello e due suoi amici, Niccolò e Alberto, alla stazione di Genova Principe a prendere il treno per Rimini: i ragazzi erano in partenza per le vacanze. Ma il loro viaggio si è fermato subito prima del ponte crollato, a pochi metri dal baratro. 

E' Michela tra loro la prima a parlare davanti al pm Terrile che le chiede: "Anche lei non ha presentato querela per un reato non c'è bisogno ma per lesioni colpose deve presentare querela, lo farà? Ha novanta giorni, ha intenzione?. Meo risponde: "Mi riserbo di decidere".

Poi racconta: "Stavo guidando l'auto. C'era mio figlio e suoi due amici, mio figlio era al posto del passeggero (...). Stavano andando fuori per Ferragosto e li accompagnavo alla stazione di Piazza Principe. Stavo andando a sinistra per uscire a Genova Ovest, stavo per superare e non l'ho fatto perché avevo tempo, c'era la coda. c'era una pioggia battente, andavo al massimo a 70km/h. Appena uscita dalla galleria la pioggia impediva la visuale, avevo paura di incidenti. Ho proseguito, guardavo davanti quando ad un certo punto ho visto cadere la pila 9, l'ho vista crollare, ho reagito e mi sono fermata. Ho cercato di fare retromarcia ma non ci sono riuscita, c'erano altre auto. Ho pensato 'adesso moriamo tutti'. Davanti prima dell'abisso c'erano solo due auto, una bianca e una rossa. Mio figlio ha gridato: 'Mamma, scappa scappa'. Ho pensato: 'Cosa corriamo tutti, tanto moriamo tutti'. Quando ho visto cadere il pilone. Siamo scesi e di corsa ma sapevo che tanto saremmo morti tutti. Ho visto cadere la pila, tutto quello che si vedeva si è sbriciolato tutto. I ragazzi mi aspettavano e io avevo paura che morissero per aspettare me. Scappavano tutti. non volevo che i ragazzi morissero per colpa mia, alla mia età posso morire. Anche in galleria ho pensato 'adesso mi casca in testa la galleria'. Non ho avuto danni fisici, sono stati anni brutti. Ho smesso di dormire serenamente, mi è cambiato il carattere. Ho perso i freni inibitori della vita sociale, non riesco a trattenermi. Capita spesso di litigare con le persone, ho tanta rabbia dentro, pensavo a cosa poteva succedere. Un'ora prima erano passati mia madre e mio fratello, adesso sto sforzandomi di trovare serenità. Sono stata seguita (da uno psicologo ndr) ma poi non avevo il tempo, lavoro in Valpolcevera ma abito in Riviera, ho cercato il servizio Asl, ho cercato di contattarli, ma non è stato possibile, ho fatto qualche incontro con uno specialista di cui non ricordo il cognome. Ho assunto delle medicine prescritte da uno specialista del pronto soccorso, poi ho smesso".

Poi è la volta del figlio della Meo, Marcello Monaco: "Ero con mia mamma, c'era lo sciopero dei treni, ho i ricordi annebbiati. Ricordo una fortissima pioggia, andavamo piano per fortuna. Eravamo a 30 metri dal punto del crollo. Una scena irreale, incredibile. Ho visto il pilone venrimi giù davanti, immagini che non saprei come descrivere. (...) Abbiamo fatto 15 metri in retro. Ho visto il ragazzo della Basko correre indietro. Fra noi e il buco c'erano due auto. Mia mamma voleva prendere la borsa, appena sono uscito (dall'auto ndr) il mio pensiero era per lei, poi mi sono girato e ho visto il ponte crollato. I miei amici si sono fermati nella galleria e c'erano i vigili del fuoco che andavano verso il ponte. C'erano tanti bambini e poi le ambulanze e la polizia ci hanno fatto andare all'inizio della galleria dove c'era un bus della Amt che ci ha portato via. Pioveva forte, la scena del crollo era cinematografica. Conseguenze? Non riuscivo mai a chiudere gli occhi, avevo l'immagine di mia madre. Anche ora guidare è difficile. I primi tempi sono stato seguito da uno psichiatra in ospedale".

Poi è uno dei passeggeri dell'auto condotta da Meo a parlare, Alberto Marengo: "C'era un diluvio. andava piano, c'era nube sul ponte. A un certo punto davanti a noi ho visto come un film: un camion rosso scomparire, andare letteralmente giù sulla corsia destra, noi eravamo a sinistra, poi una nuvola, quello che era forse il pilone verso di noi. Michela ha inchiodato, abbiamo iniziato a correre. Pensavo all'effetto domino e pensavo che sarebbe caduta anche la parte sotto di noi. Correvamo e Michela non correva veloce come noi, sono tornato indietro per spingerla per venti metri. Lei mi ha detto di andare. Ho cominciato a correre la corsa più veloce della mia vita, ricordo gli sguardi di chi usciva dalla macchine, poi le persone mi hanno chiesto cosa stava succedendo, ho parlato in inglese e ho spiegato che il ponte era crollato (...) Subito dopo ho vissuto come una scena da film, non ho realizzato subito la gravità della situazione. Successivamente ho elaborato quanto era accaduto. Ho perso la concezione della sicurezza, nel senso che ho realizzato di essere stato a un passo dal non esserci più e mi ha turbato, potenzialmente può succedere qualcosa quando meno te lo aspetti.

Poi è l'ultimo passeggero della macchina, Niccolò Ridolfi: "Ho visto il pilone cadere e un camion che era davanti a noi di colore rosso. Poi l'autista della Basko che veniva verso di noi con le braccia alzate dicendoci di scappare. Siamo corsi tutti nella galleria, avvisando le persone che erano rimaste in macchina di scappare. Avevamo paura che potesse cadere quello che avevamo sotto i nostri piedi. Ora ho paura dei ponti".