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"Eva P. ha abbandonato il gruppo". L'ho fatto, sono uscita da un gruppo Whatsapp di mamme e amiche, con cui condivido e ho condiviso molto negli ultimi anni. E lo metto in piazza per un motivo: quando è successo ho scoperto che questa voglia di evadere e questo rapporto di dipendenza o forse di amore e odio con una banale app sul cellulare è un affare molto molto comune.

Si inizia così - alzi la mano chi l'ha vissuto - il gruppo su Whatsapp nasce sulla scia dell'entusiasmo per organizzare una pizzata di gruppo, un calcetto del martedì o il compleanno di un figlio; si continua nel tempo condividendo episodi curiosi, risate e débacle, l'amicizia spesso si rafforza attraverso queste piccole innocue confessioni. E poi si finisce per creare un rito quotidiano scansito dai passaggi della giornata: dal buongiorno all'alba alla buonanotte della sera tardi, quasi diventa un obbligo farsi sentire, mandare una faccina o un fiorellino. In mezzo, nel caso delle mamme, ci stanno bollettini medici, voti, compiti e sport, crisi familiari, organizzazione di eventi, sfoghi e gossip: insomma un luogo virtuale che sostituisce il piazzale della scuola e il bar di quartiere. La chat ha registrato tutto negli anni: dai matrimoni finiti alle litigate colossali, siamo dimagrite e ingrassate, abbiamo vissuto amori e disamori, i figli che mettevano il pannolino hanno un velo di baffi sulle labbra.

Poi le cose si complicano, le storie si evolvono, o semplicemente le vite si dividono: quella mamma salvata come "Linda mamma Antonio asilo" è diventata "Linda pilates mamma Antonio 3P scuola media". Magari di un'altra scuola.

Ma la chat, puntuale e insistente, continua a vivere. Con i suoi buongiorno e buonanotte. E a lei si sono affiancate le altre chat mentre Whatsapp cresceva e diventava per comodità il mezzo principe della comunicazione e della socialità, fino quasi a sostituirla. Siamo arrivate a flussi di messaggi pari a 500 al giorno nei momenti più intensi. Sono arrivate le chat dello sport, delle feste, dei regali, del lavoro, dei fan di XFactor, dei figli e dei nipoti (per gioco provate a contare solo quelle professionali: io per esempio ne ho 29, tutte attive quotidianamente. E poi contate quelle familiari: io ne ho altre 19, tutte attive, spalmate su due figli e una grande famiglia allargata). Siamo giunti a una overdose mediatica da Whatsapp.

Così un giorno, nella semplicità di una sensazione nata nella mia pancia, ho pensato che le amiche avevo voglia di vederle dal vivo e che in fondo buongiorno e buonanotte potevo dirlo ai miei figli, al cane e al gatto, e potevo uscire per un caffè di 5 minuti per aggiornarmi sulle ultime notizie. Dunque ho salutato, ringraziato e ho schiacciato il bottone "abbandona il gruppo". Nemmeno un minuto e ho scoperto che tante altre volevano farlo, ma non sapevano come e se era il caso e se qualcuna si sarebbe sentita ferita. Perché un circolo virtuale è più difficile da sciogliere rispetto a un crocchio davanti alla scuola di persone che si salutano quando hanno esaurito quel che dovevano dirsi.

E allora, forse salutare e dire: 'vado via', è un po' trasformarsi per una volta in quel bimbo della fiaba di Andersen che disse candidamente "il re è nudo". Anche Google, battendo nella stringa di ricerca "Whatsapp abband..." ripropone subito le nostre remore. Non sarà un caso se le prime voci nei risultati di ricerca sono "Come lasciare un gruppo WhatsApp anonimamente"; "WhatsApp: si può abbandonare un gruppo senza farsi scoprire?"; "Il trucco per lasciare un gruppo WhatsApp senza che nessuno se ne accorga"?

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