
Silvia Salis al posto di Elly Schlein come antagonista di Giorgia Meloni alle elezioni politiche del 2027? Poiché gli altri media hanno ignorato la cosa, sembra che soltanto io e il collega Mario Paternostro ci siamo accorti che la sindaca di Genova sia stata a La7, proseguendo un giro che potrebbe, infine, condurla a Roma. Alla domanda sul proprio futuro, che peraltro più volte le è già stata rivolta, Salis ha risposto sempre allo stesso modo: “Faccio da pochi mesi la sindaca di Genova, l’incarico mi occupa moltissimo e avrò anche la possibilità di un secondo mandato”. Insomma, no. Molti le hanno creduto. Però adesso comincia ad affiorare qualche dubbio.
Primocanale lo scorso giugno fece fare un sondaggio dal quale risultò che Salis sia in Liguria sia a Genova viene preferita (30 per cento e 39 per cento) a Schlein come avversaria di Meloni. Addirittura, percentuale sale al 54 se si considera solo l’elettorato di centrosinistra: non è poco se si considera che i liguri e i genovesi la conoscono da vicino.
Salis continua a nascondersi – “mi sento una leader, però a Genova” - ma in realtà il suo orizzonte oggi pare davvero contemplare la possibilità di una contesa a livello nazionale. Lo fa capire quando sgancia la bomba: “Sono contraria alle primarie!”. Cioè a dire: Silvia Salis sconfessa il modo nel quale Elly Schlein è stata eletta, visto che la segretaria del Pd ha ricevuto l’imprimatur proprio nei gazebo. Dove, oltretutto, hanno potuto votare anche quelli del centrodestra che volevano inquinare l’elezione.
La sindaca di Genova, con la quale sono d’accordo come mi è capitato di scrivere in epoca non sospetta, offre anche una giudiziosa spiegazione: “Io ho dimostrato che uniti si può vincere e non sono passata attraverso le primarie. E’ uno strumento che prevede battaglia fra esponenti dello stesso schieramento e nel centrosinistra c’è già una cultura abbastanza divisiva, non serve aggiungere altro”.
Se si è intellettualmente onesti è impossibile darle torto. Comunque, tanto basta perché si consumi una rottura-non-rottura con la segretaria. Salis, infatti, difende Schlein (“fa bene a rivendicare di essere testardamente unitaria”) e la supporta anche verso l’ipercritico Romano Prodi (“a Genova ho vinto grazie ad una coalizione unita, non posso condividere la sua visione”). Però quello “strappo” rimane. Paternostro giustamente rileva che nell’eventualità non c’è da temere per il Pd: un vice, Alessandro Terrile, è pronto a fare il numero uno.
Invece, restando alle primarie, c’è chi tira fuori gli Stati Uniti. Ma è bene ricordare che là il sistema è tutto diverso: chi perde scompare dalla scena politica, mentre chi vince si trova dietro tutti quelli della sua parte. Che siano democratici o repubblicani poco importa. Si capisce, tuttavia, che Salis è imbarazzata quando sostanzialmente ammette che dovrebbe funzionare come nel centrodestra: chi prende più voti alle elezioni fa il premier.
Oddio, in quella metà del cielo certo non manca la litigiosità, ma si sa fare di necessità virtù. Come, appunto, vorrebbe la sindaca di Genova, che però svicola, adducendo un diritto-dovere di scegliere da parte delle forze politiche, senza entrare nel dettaglio. Probabilmente consapevole che il terreno è scivoloso, sottolinea più volte di essere lontana anni luce dagli avversari.
Nessuno ne dubita. E Salis ha ragione quando osserva che da qui al voto del 2027 c’è, mal contato, un anno e mezzo e che durante questo lasso di tempo può davvero succedere la qualunque. Pure considerando che di mezzo ci sarà un referendum sulla giustizia (lo prevede il meccanismo della riforma costituzionale in corso) dal quale nessuno può preconizzare come uscirà Meloni. Però lo stesso discorso vale per Schlein: se perdesse? Sebbene a ben vedere persino la vittoria potrebbe non bastarle.
Per ora c’è la voce della premier, la quale si è affrettata a dire che l’esito del referendum non produrrà effetti sull’esecutivo. Ma se gli elettori le voltassero le spalle su un elemento chiave del programma di governo, solo in una repubblica delle banane si farebbero spallucce e si andrebbe avanti come se nulla fosse. Allora il centrosinistra potrebbe chiamare Silvia Salis, magari senza primarie. E a quel punto…
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