L'astensionismo alle urne è diventato una costante inarrestabile che mina le fondamenta stesse della nostra democrazia. Dalle elezioni regionali in Abruzzo e Sardegna, dove un elettore su due ha scelto di rimanere a casa, al desolante 63% di diserzione alle elezioni nel Lazio, il trend è chiaro e preoccupante.
Non possiamo più ignorare questa realtà. La mancanza di partecipazione non è circoscritta a specifiche consultazioni; è un sintomo di una malattia più profonda che affligge il corpo politico italiano. La legge Berlusconi-Bersani ha certo contribuito a erodere la fiducia dell'elettorato nel processo democratico, privandoci della nostra prerogativa fondamentale: scegliere i nostri rappresentanti.
Ma la causa va oltre. La nostalgia per i partiti del passato è palpabile, quelli che un tempo erano veri e propri luoghi di confronto e partecipazione. Oggi ci troviamo di fronte a una realtà diversa: partiti personali, imperi autoreferenziali dove il popolo è relegato a spettatore passivo. Tangentopoli ha certamente inflitto ferite profonde, ma non può essere un alibi per l'attuale arretramento civico.
Dobbiamo raccontare la vera storia del nostro Paese ai giovani di oggi. Dalla devastazione post-bellica all'ascesa a potenza mondiale, l'Italia ha attraversato un cammino straordinario. Il nostro tessuto imprenditoriale, le nostre conquiste in campo finanziario e l'attiva partecipazione alla costruzione europea sono tappe fondamentali di questo percorso.
È tempo di risvegliare la coscienza elettorale, di riconnettere i cittadini al processo decisionale. Non possiamo permettere che l'apatia dilagante comprometta il nostro futuro. L'Italia ha un ruolo da giocare nel concerto delle nazioni, ma questo ruolo non può essere preso per scontato.
Il cambiamento inizia con noi. Dobbiamo demandare meno e partecipare di più. Solo così potremo preservare e rafforzare la nostra democrazia, garantendo un futuro migliore per le generazioni a venire.
IL COMMENTO
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