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Non capisco: se i partiti di centrodestra non hanno chiesto niente al candidato sindaco Francesco Solinas, che cosa l'hanno aperto a fare un tavolo per il ballottaggio a Sestri Levante? Siccome il tavolo c'è stato, invece, allora una trattativa è stata tentata. A leggere le cronache, sembra che l'unico punto fosse: i simboli accanto al nome di Solinas. Prendere o lasciare. E lui ha lasciato.

Le vedove inconsolabili poi se ne sono uscite augurandosi che comunque Solinas vinca (quale ipocrisia!) e qualcuno si è spinto fino all'ironia. "Sono tutti civici con i voti degli altri", Stefano Balleari dixit. Gratta gratta, però, sotto la battuta è venuta fuori un po' di arroganza. La stessa che aveva spinto il suo partito, Fratelli d'Italia, a sostenere un proprio candidato a Imperia. Salvo poi compiere una frettolosa marcia indietro.

Alla fine ha appoggiato, FdI, quel Claudio Scajola che ha stravinto al primo turno le comunali imperiesi e che ora viene emulato da Solinas. Una dura lezione che i partiti del centrodestra sembrano incredibilmente non aver imparato. Eppure non dovrebbe essere così complicato: siccome parliamo di elezioni locali, ciò che serve non è una logica di appartenenza, bensì un leader che si tenga le mani libere dai partiti e che sappia interpretare i bisogni della sua città al di là dei simboli.

Questo ha fatto Solinas a Sestri e al primo turno ha vinto il derby interno con Diego Pistacchi, il candidato del centrodestra ufficiale. Davanti a tutti ci sta il candidato del Pd, Marcello Massucco, il quale ha corso e correrà senza simbolo del partito e ha usufruito proprio delle divisioni del fronte opposto.

Pistacchi, un collega con il dono del pragmatismo, ha già annunciato che per quanto lo riguarda appoggerà Solinas. Lo ha fatto dopo l'endorsement del governatore ligure Giovanni Toti, primo e lesto nel sostenere il candidato di centrodestra. E forse la verità di tutta questa storia, che all'apparenza è tanto imbarazzante quanto inspiegabile per il centrodestra, sta proprio nella posizione di Toti. Secondo il quale vanno benissimo  i partiti del centrodestra, ma senza il civismo di Scajola, Solinas e affini non si va da nessuna parte.

Anche il collega Toti ha il dono del pragmatismo e se vorrà provare a tenere unita la coalizione in vista di un terzo mandato in Regione dovrà quadrare un cerchio complicato. Ma non si tratta di una operazione impossibile. Se al ballottaggio Solinas vincerà o comunque arriverà a insidiare l'esponente del Pd (non dimentichiamo che Sestri rimane una roccaforte del centrosinistra) la risposta l'avranno data, una volta di più gli elettori: nelle elezioni amministrative contano l'unità, il candidato sindaco e ciò che ha fatto o promette di fare. Il resto è fuffa.

Qualcuno obietterà che a Ventimiglia, invece, è il centrodestra ufficiale, con tanto di simboli dei partiti, a giocarsi la partita finale. A parte che la vicenda è tutta diversa, proprio dal punto di vista locale, non vorremmo comunque essere nei panni del candidato al ballottaggio, il leghista Flavio Di Muro. Può vincere, però dovrà fare a meno dei voti del suo "nemico" Gaetano Scullino, per anni campione dello schieramento.

E se dovesse prevalere l'uomo del fronte opposto, Gabriele Sismondini, per il centrodestra sarebbe un'altra occasione gettata al vento. Ma la vera domanda è: la coalizione della premier Giorgia Meloni può mettere a rischio la Regione Liguria sol perché certe chiamate alle urne si giocano più che sui simboli propriamente sui leader? In fondo, checche' se ne dica e appaia, questo è il suo terreno...