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Ferrero ha goduto di un'immunità che è durata troppo a lungo
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GENOVA - E così, è successo quel che doveva succedere. La Sampdoria, dopo un’annata di completa agonia, è retrocessa in serie B: finalmente, si dice in buon italiano, cioè alla fine di un percorso tracciato e inevitabile. E’ accaduto in un tardo pomeriggio di maggio, senza combattere. Anche perché non c’era più nulla da difendere.

Se la storia fosse tutta qui, se narrassimo cioè della caduta sportiva di una squadra di calcio, potremmo resistere alla tentazione d’ammantarci di retorica: nello sport, come nella vita, si cade e ci si rialza. E’ successo al Genoa, che ha trasformato la delusione dello scorso anno in pura adrenalina, è capitato anche alla stessa Sampdoria, più volte peraltro, e in un modo o nell’altro è sempre risorta. Ma adesso le cose sono più complicate e la discesa calcistica potrebbe essere ben più ripida di quello che ci si immagina.

Ormai nessuno ci gira più attorno e anche la stampa più prudente ha preso a descrivere la realtà per quella che è, con buona pace di quei tifosi, e sono tanti, che hanno messo la testa sotto la sabbia per anni, mentendo prima di tutto a sé stessi. La Sampdoria potrebbe fallire e ripartire dai campetti di periferia.

E’ successo per una serie di concause: dalla cessione del 2014, quando non si volle tenere conto del fatto che, se la società aveva perso 300 milioni in 10 anni, il nuovo proprietario avrebbe avuto dovuto avere le spalle sufficientemente larghe per coprirli lui stesso, cosa che non era. Passando per l’ingorda gestione Ferrero, uomo non stupido, come gli incredibili assegni che si è messo in tasca in tutti questi anni dimostrano senza equivoco, ma non abbastanza scaltro da saper determinare il momento decisivo per lanciarsi sullo scivolo d’uscita.

Ma le colpe risiedono anche altrove e in questo editoriale desidero togliermi anche qualche sassolino dalle scarpe.

Di Lega e Federcalcio sappiamo tutti: ciò che è stato fatto in questi anni supera ogni limite e mi auguro che la comunità sampdoriana voglia trovare un buon avvocato e adire le vie legali. Il solo fatto che un uomo come Massimo Ferrero sia stato ammesso alle riunioni in via Allegri getta un’ombra sull’intero governo del calcio: della crema dell’imprenditoria italiana e internazionale, un consesso di uomini seduti su patrimoni immensi, devono far parte solo coloro che dispongono delle giuste credenziali. E Ferrero non ne aveva neanche un po’.

E sul Trust, poi, ci sarebbe da dare battaglia (e spero che lo si faccia): incapsulare una società di diritto sportivo in un istituto con sede in un paradiso fiscale è stato oltraggioso ed è, a mio giudizio, la vera ‘pistola fumante’ del crimine commesso ai danni della Sampdoria. La società è stata usata come garanzia per debiti esterni ad essa, riferibili al suo azionista di riferimento: è stato posto un cappio sul collo della Samp e si è tirato e tirato finché l’aria non è venuta a mancare. Se fosse stato possibile, come sempre in questi casi, consentire a un investitore di accollarsi i debiti senza ulteriori esborsi la Sampdoria sarebbe già passata di mano come minimo alla fine del 2022 e oggi sarebbe probabilmente salva sul campo (visto il livello tragicomico della serie A). Ma c’era il Trust, c’erano 40 milioni da versare non si sa bene perché: e nessuno, ovviamente, l’ha fatto.

Però questo non basta a spiegare tutto. Perché se è vero che la tifoseria blucerchiata è una delle più belle, numerose e rumorose d’Italia, è anche vero che non era preparata per quello che stava per capitare. Forse confusa dalle tante voci sparse ad arte, come quella che Ferrero fosse l’uomo di paglia di Garrone, fattispecie che si è dimostrata completamente falsa; più probabilmente legata a uno stile che esiste solo qui: i doriani identificano il presidente con la bandiera. Hanno un terzo della loro storia tra i Mantovani e i Garrone, cioè due dinastie che, seppur protagoniste di stagioni diverse, hanno garantito una continuità ideale con i valori del club. Dovete sapere che per le altre tifoserie un rapporto del genere non esiste: i presidenti sono sempre visti con sospetto, criticati con ferocia, spesso anche in modo esagerato. Vi è un rapporto di amore e odio che si alternano come i risultati della squadra.

Alla Sampdoria no. Il presidente è intoccabile, chi lo critica è genoano: anche Ferrero ha goduto di questa immunità. “I tifosi devono fare i tifosi”, quante volte l’ho sentito dire. Non so voi, ma se mi accorgo che il presidente sta dileggiando e uccidendo la mia squadra mi sento obbligato a intervenire. E invece gli interventi sono stati sporadici e minoritari: potrei persino pubblicare, ma sono troppo corretto per farlo, la lista delle decine di tifosi, quanti bei ‘Viperetta’ messi nei loro pseudonimi, che sono stato costretto a bloccare sui social network per non vedere i loro insulti. Io avevo lasciato Samp Tv con l’arrivo di Ferrero, criticavo le sue uscite e le sue mosse, per questo ero diventato un nemico. Se la Sampdoria a giugno morirà io vi considero corresponsabili.