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GENOVA - È stato giusto affidare la nobile chiesa di santo Stefano alla comunità ucraina per celebrare i suoi riti religiosi in questo tempo terribile della nostra storia? Lo ha fatto con una decisione “forte” il nostro arcivescovo, che preferisce farsi chiamare frate, Marco Tasca.

È stata una mossa coraggiosa e che sta tutta nel segno di Francesco, il papa leader che affronta dal suo pulpito una epoca inconsueta e terribile per la Chiesa di Roma: da una parte questa guerra che non finisce più, con il suo carico di morte, distruzioni, sofferenze immani, disequilibri geopolitici, futuro così incerto. Dall'altra l'imprevedibile conflitto interno dopo la morte del papa emerito Benedetto XVI, tra i conservatori e progressisti, mentre le radici cristiane sono così sofferenti in Europa e le minacce di scismi si alzano da più parti in una Chiesa che percorre la strada nuova del Sinodo Universale.

E in più la improvvisa svolta vaticana nella incomprensibile vicenda di Emanuela Orlandi, la giovane scomparsa trenta anni fa , riaperta improvvisamente da una decisione giudiziaria pietrina che solleva domande inquietanti su tante trame proibite nel cuore della Chiesa.

Molti hanno criticato quella decisione genovese, che ha la ragione semplice della generosità, della vicinanza a un popolo che scappa dagli orrori della guerra e al quale si concede un luogo per pregare, per stare insieme, per tenere unita la tradizione dei propri riti religiosi, mentre una tale tempesta si scatena sul proprio popolo.

Come si può “espropriare” una chiesa nel cuore di Genova, un gioiello dalla storia antica, dalle vicissitudini quasi millenarie, dai tesori artistici inestimabili? Santo Stefano ha subito nella sua storia, datata IV secolo, perfino gli assalti distruttivi dei Saraceni e  tante successive intemperie di guerre, vandalizzazioni, distruzioni, ricostruzioni. Ed è sempre risorta, un secolo dopo l'altro.

Proprio per questo il gesto di offrirla agli ucraini, che l'avevano già scelta come base della loro comunità, così bisognosa di assistenza, di un luogo dove ritrovarsi per pregare, è non solo utile, ma anche necessario, in un tempo nel quale la generosità, l'apertura, la solidarietà, intese in tutti i sensi materiali e spirituali, sono un segno decisivo e importante, del quale tutti i genovesi devono essere fieri. Compresi gli storici dell'arte scettici e i conservatori, che oggi possono apparire come i sepolcri imbiancati che il Vangelo ha sempre censurato.

 

 

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