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Sembra un secolo fa, e invece sono passati 11 anni da quel tragico 4 novembre che ogni genovese difficilmente dimenticherà, me compreso.

L’inesperienza, il pressapochismo, la sciatteria. E se vogliamo anche un po’ di arroganza. Ma soprattutto le scelte del passato. Ecco perché morirono quelle 6 persone travolte all’improvviso dalla furia del Fereggiano, un rio dormiente fino al giorno prima, attorno al quale negli anni vennero costruite case, asili, negozi, supermercati. Una cementificazione selvaggia con tombinature selvagge. Quel 4 novembre ci siamo resi conto, sulla pelle di quella povera gente, che la natura prima o poi si riprende quello che è suo.

Nel 2011 scattò l’allerta 2 (all’epoca venivano classificate con i numeri e la 2 era la più grave), ma non c’era la sensibilità che abbiamo oggi e non c’era soprattutto la solerzia nel chiudere preventivamente le scuole che abbiamo imparato a avere dopo quegli eventi. Tanto che a Genova quel giorno scuole e asili rimasero drammaticamente aperti. Per molti fu quella la colpa più grande all’origine della tragedia. Ma non l'unica.

Ricordo le lunghe dirette di quei giorni come qualcosa a cui difficilmente riuscivamo a credere: mentre la città era in ginocchio, sommersa dall’acqua e piangeva le sue vittime, gli amministratori dell’epoca cercavano di smarcarsi riversando le colpe sulle “bombe d’acqua improvvise”, ma anche e soprattutto sulle responsabilità individuali.

Una delle vittime si chiamava Serena, aveva 19 anni ed è morta mentre andava a prendere il fratellino di 15 anni fuori da scuola. “Cosa ci faceva in scooter sotto il diluvio” arrivò a dire il sindaco in diretta tv. Ecco l’arroganza. Ero in onda e non riuscivo a crederci. E dire che per lasciarmi senza parole ce ne vuole. Per di più si è poi scoperto che quella povera ragazza non era neppure in motorino. Poco dopo, sempre in diretta, alla domanda su come mai le scuole non fossero state chiuse, il sindaco buttò giù il telefono. Non a  me, ma a una città intera. Le indagini della magistratura scoprirono poi che chi doveva rilevare il livello dei torrenti in tempo reale e comunicarlo tempestivamente proprio per far scattare l’eventuale evacuazione delle aree a rischio, non lo fece come avrebbe dovuto. La sciatteria, il pressapochismo.

Le stesse indagini accertarono anche che nei giorni successivi qualcuno provò a manomettere le carte e i verbali relativi alle ore in cui si consumarono quei tragici avvenimenti, nel disperato tentativo di scaricare le colpe su un evento comunque eccezionale e quindi imprevedibile perché, come racconta Dario Vassallo nel ricostruire gli eventi di quei giorni, “l'alluvione del 2011 è purtroppo entrata negli annali statistici per l'enorme quantità di pioggia caduta in una sola ora”. (LEGGI QUI).

Anche per quel tentativo di falsificare le carte alcuni degli amministratori dell’epoca stanno pagando ancora pesanti condanne. Forse pure eccessive. Certo, errori ne sono stati commessi, anche gravi, ma ancora oggi a distanza di 11 anni mi chiedo se possa essere scaricata su un sindaco una colpa simile per omicidio colposo plurimo a seguito di un evento naturale così imponente come quello che si abbatté su Genova in quei giorni e le cui conseguenze sono frutto anche e soprattutto di scelte urbanistiche radicate nel passato della città, quando si decise scelleratamente di tombare corsi d'acqua, deviarne il percorso e costruire sui loro argini.

Le colpe per quanto successo il 4 novembre 2011 a Genova vanno ripartire con chi approvò quegli interventi urbanistici, incurante di quello che sarebbe potuto accadere decenni dopo. Oggi non possiamo più permetterci di ragionare come si faceva negli anni 60 e 70 e quindi di fronte a certe scelte è giusto ponderarne bene le conseguenze nel tempo.

Perché abbiamo imparato, o almeno avremmo dovuto, che la natura prima o poi si riprende quello che è suo.