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Un accordo nato male e finito peggio. Certo, era abbastanza impronosticabile che Carlo Calenda stracciasse le carte solo pochi giorni dopo averle sottoscritte con il sodale di breve durata Enrico Letta. Ma a ben vedere non è così sorprendente.

Il leader di Azione non può dirsi stupito che il Pd le stesse provando tutte per mettere insieme una alleanza capace di contrastare la vittoria annunciata del centrodestra. E fra queste "tutte" c'erano anche Sinistra italiana di Nicola Fratoianni, Verdi di Angelo Bonelli e Impegno civico di Luigi Di Maio. Senza bisogno di particolari analisi politologiche, era a tutti evidente la distanza che separa questi soggetti da gente come Mariastella Gelmini e Mara Carfagna, uscite da Forza Italia e confluite in Azione. E le due signore, c'è da giurarci, mica se ne sono state zitte!

Dunque Calenda "non poteva non sapere", per dirla alla maniera di Mani Pulite. Ma il peccato più grosso non è suo, bensì di Letta. Per giorni il leader del Pd ha ripetuto: se vuoi vincere, la legge elettorale ti impone delle alleanze! Quindi, lui è andato alla ricerca di queste intese, con il solo obiettivo di tagliare la strada "alla destra", che se stravincesse potrebbe cambiarsi da sola la Costituzione, in direzione presidenzialista.

E allora: intanto vinciamo, poi per il governo si vedrà. Qui, però, i conti non tornano più e il ragionamento di Letta non tiene più. Con quella aggregazione, compresi Azione di Calenda e Italia viva di Matteo Renzi (che corre in solitaria salvo prossima intesa con gli "azionisti") al massimo, ma proprio al massimo, Letta arriverebbe al 36 per cento (parliamo sempre di sondaggi, ma ultimamente devo dire che ci azzeccano). Cioè starebbe dieci punti sotto la performance di cui è accreditato il centrodestra.

Il 10 per cento che ci manca potrebbe mettercelo il Movimento 5 Stelle, che però vive l'ostracismo, agli occhi di Letta, di aver fatto cadere il governo guidato da Mario Draghi. Ma in questo modo vincere diventa impossibile e allora non capisci più che razza di ragionamento stia facendo il leader del Pd. Se ci sta (vedi Fratoianni) chi non ha mai votato la fiducia al governo, perché non può starci chi (Giuseppe Conte) gliel'ha sempre riconosciuta, salvo toglierla cinque-sei mesi prima della naturale scadenza della legislatura?

"Salviamo la Costituzione" ripete Letta come un mantra. Che, forse, significa: perdiamo, ma abbastanza bene da non consentire alla destra di cambiare da sola la Carta. E anche: perdiamo, ma abbastanza bene che poi basta l'aggiunta dei Cinque Stelle per fare maggioranza (a quel punto non sarebbero più brutti, sporchi e cattivi...?).

La semplice verità è che pure in sede di "alleanza tecnica" non ti puoi dimenticare delle affinità e delle differenze. Per quanta fantasia e buona volontà ci puoi mettere, non si può fare una coalizione che si ponga soltanto l'obiettivo di vincere le elezioni senza badare per niente alla possibilità di governare. Letta avrà pur avuto in testa qualche idea su come coniugare le due cose, magari in tempi diversi. Il problema è che in queste cose il tempo necessario non ti verrà mai concesso.

Stavolta sono state le parole di Calenda, Fratoianni e Bonelli a dimostrare plasticamente come l'operazione sia impossibile. Solo che adesso il Pd si trova in mezzo al guado, in un mare di casini e con la prospettiva che, alla fine di tutto questo agitarsi, il centrodestra si trovi in mano un grande regalo. Siamo all'opposto dei motivi per cui tutto è cominciato...

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