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GENOVA - Non si illudano che togliendo o riducendo i cantieri nei ponti e nelle ferie estive la situazione si sblocchi sulle autostrade liguri, diventate oramai un incubo nazionale, una specie di timbro negativo in tutta Europa. Le code, sopratutto a Ponente, esistono da decenni e decenni e l’unica differenza è che ora, in concomitanza dei cantieri del dopo tragedia Morandi, si sono estese spesso a tutta la settimana, toccando punte intollerabili nei week end non solo estivi, ma anche pasquali e perfino natalizi.

E questa catastrofe oramai inchioda la Liguria irraggiungibile al suo destino da cinque anni, senza prospettive serie.

La progressiva e massiccia (e ben augurante inizialmente) seconda e terza turisticizzazione della Riviera, dopo quella inventata dagli inglesi nell’Ottocento e perfino dalle èlites russe all’inizio del Novecento, ha cambiato il problema trasporti.

La Savona-Genova su unica corsia degli anni Cinquanta (poi raddoppiata nei Sessanta) e la Savona Ventimiglia, inaugurata nel 1971, e costruita in soli cinque anni, un miracolo di ponti e gallerie, sono state presto superate da valanghe di traffico.

Prima della loro costruzione viaggiare a Ponente era una corsa a ostacoli tra passaggi a livello e paesi costieri che si gonfiavano di cemento e case. Dopo l’iniziale sollievo è incominciato il calvario, sopratutto tra la Savona-Ventimiglia delle doppie barriere per la diversa gestione delle concessionarie. A Savona e a Orco Feglino, stop e pagamento, code infinite.

Negli anni Settanta-Ottanta le code erano già epiche su una autostrada “nuova”, talmente costosa nei suoi investimenti iniziali che la sua gestione era addirittura finita in amministrazione controllata. Era costata troppo, la chiamavano l’autostrada dei miliardi. Ma ben presto il boom del traffico ha cambiato il trend, facendo arricchire i concessionari sempre di più.

Ma quei soldi non finivano in progetti per migliorare la situazione, per costruire le famose Aurelie bis, che sono a tutt’oggi mozziconi di strade, salvo il provvidenziale tunnel tra Albenga e Alassio, voluto da Claudio Scajola.

Nessuno ha più progettato o costruito qualcosa, da quella fine degli anni Settanta, mentre il traffico ingigantiva nel numero e nelle dimensioni e nelle caratteristiche.
Quel tratto ligure, dalla frontiera francese a Genova e viceversa, è diventato la pista del trasporto pesante su gomma di taglio europeo sempre più invasivo. E basta oggi viaggiare su quel percorso e contare le migliaia di Tir fermi a riposare nelle sparute e insufficienti aree di servizio, o anche nelle rare corsie di emergenza, per capire cosa sta succedendo.

E anche per spiegarsi, aprendo una dolorosissima parentesi, quale è una delle concause del tragico crollo del Morandi, logorato per decenni da un peso incalcolabile al tempo della su costruzione, anno 1967.

Poi è esploso il terzo ( o quarto?) boom turistico, quello che per fortuna fa crescere l’economia terziaria, di servizi della nostra beneamata Liguria e la regione è diventata terra di una invasione che non si ferma. E qui altro che “red carpet”, ci vorrebbe ben altro che quelli o i cantieri dei tappulli su ponti e gallerie.
Ci vuole un’altra autostrada, che è già disegnata, che ha pochi sponsor, tra i quali l’immarcescibile Claudio Scajola, la Albenga Predosa, una via di scarico per lombardi e piemontesi.

Oppure ci vuole un passante tra l ’Autofiori e l’A 6, la Savona Torino, che elimini lo strangolamento “eterno” di chi da Ponente punta verso la città della “Campanassa”.
Non è un mistero che da anni oramai molti turisti piemontesi preferiscono scavalcare l’Appennino su strade statali tortuose e complicate per andare a raggiungere a monte la Savona-Torino piuttosto che infilarsi nella coda della A 10, un incubo di 24 chilometri fermi, come è capitato nell’ultimo week end.

Oppure c’è chi viaggia a mezza costa, da Borghetto Santo Spirito verso Carcare e quindi “raggiunge” in quota la A 26, viaggiando per ore in solitaria, piuttosto che affrontare l’inferno sulla costa.

Insomma, ci vuole un’altra strada, se le ondate turistiche e del traffico pesante aumenteranno, come tutti i trend fanno capire. Viaggiare per ore in un serpente quasi fermo è un vero incubo, non certo solo di stress della guida, ma di sicurezza perché se succede qualcosa di grave in mezzo a quei serpenti si salvi chi può.
Ci vuole un’altra strada-autostrada e va decisa subito.

Da utente eterno di quel tratto azzardo una provocazione estrema. Serve più risolvere quel problema a Ponente che costruire la famosa Gronda di 57 chilometri che aspettiamo invano da venti anni e più, la cui non realizzazione, sotto forma di “Bretella”, ha indirettamente provocato il crollo del Morandi e che dovremmo attendere almeno altri dieci, quindici anni per vederla con tutte quelle gallerie da scavare nell’immediato entroterra genovese.

Non basta costringere Autofiori e le altre concessionarie a togliere i cantieri, perché la valanga è già partita e non si fermerà.
Bisogna studiare altre soluzioni, da quelle piccole di migliori segnalazioni “centrali” ai viaggiatori, ai pendolari oramai rassegnati a conquistare la Liguria con tempi simili a un volo per New York.

La Liguria non ce la fa a leccarsi i baffi per gli alberghi pieni, i ristoranti da prenotare almeno dieci giorni prima, le spiagge da opzionare in pieno inverno, perché ha questo nodo da sciogliere. Che minaccia di strangolarla.

 

L'ennesima sconfitta del Partito Democratico, battuto in Liguria a Sestri Levante, una delle sue roccaforti, ha riaperto il dibattito sul suo futuro. Su questo argomento ho un'idea precisa, e non da oggi: il problema del Pd è il Pd. E' l'aggregazione di un vasto arco politico progressista a essere il principale limite del partito.  

E' per questo che non condivido l'opinione, peraltro espressa da molti autorevoli osservatori, che la soluzione per rendere il Pd più competitivo sia un cambiamento dei suoi dirigenti: questa strada è stata già seguita più volte, l'ultima meno di tre mesi fa con l'elezione alla segreteria di Elly Schlein, e non ha mai portato nulla di significativo.

La realtà, e la sfida Schlein – Bonaccini lo ha chiarito definitivamente, è che il Pd ha l'ambizione di parlare a due porzioni di elettorato molto differenti e quando ne accontenta una, scontenta l'altra. A differenza di quel che all'interno del partito sono disposti ad ammettere, su molti temi le correnti liberali e cattoliche del Pd sono lontanissime da quelle progressiste: il risultato è che quando il segretario è un esponente dei primi, i secondi si rifugiano nel non voto o scelgono altre proposte politiche. E viceversa. Se, al contrario, i partiti fossero due, com'era in origine, entrambi potrebbero spingere l'acceleratore della retorica sui loro cavalli di battaglia e conquisterebbero, in questo modo, molti più voti.

L'esempio plastico arriva dal centrodestra: l'ultima campagna elettorale, quella che ha portato Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, ha messo in luce quanto sia efficace una proposta politica sfaccettata, capace di parlare linguaggi diversi. Fratelli d'Italia si è concessa un'intera legislatura all'opposizione, incassando un risultato straordinario che ha poi condiviso con i suoi alleati che, al contrario, sono stati penalizzati proprio per il loro appoggio, in modi e tempi diversi, ai Governi Conte I e Draghi. Se il partito di Giorgia Meloni non fosse esistito come entità autonoma il centrodestra non avrebbe mai portato così tanti esponenti in parlamento. Non solo: nell'area dell'attuale Governo la proposta politica è variegata anche sul piano dei contenuti. C'è il nazionalismo di Giorgia Meloni, il sovranismo leghista, il moderatismo berlusconiano e di altre formazioni che, anche se piccole, contribuiscono al risultato finale. Ognuno ha tutto il diritto di parlare per sé e di negoziare poi le proprie istanze nell'ambito dell'alleanza che dà vita al Governo, sulla base dei numeri usciti dalle urne.

Sul fronte opposto tutto questo non può succedere e così i voti scappano da una parte o dall'altra a seconda di quale posizione, moderata o massimalista (come l'hanno definita alcuni suoi transfughi), prenda il Partito Democratico. Elly Schlein punta su alcuni argomenti, per esempio quelli di natura etica, che sono semplicemente intollerabili per l'ampia ala cattolica che dovrebbe votarlo.

Marta Vincenzi, l'altro giorno sul nostro sito, ha scritto che una delle soluzioni auspicabili è l'immediata “riconoscibilità del partito da parte dell'opinione pubblica delle proposte su welfare, lavoro, ambiente, fisco, guerra”: sarebbe molto bello se il Pd riuscisse davvero a portare nel dibattito delle posizioni “riconoscibili” ma questo è semplicemente impossibile. All'interno del partito ci sono moltissimi argomenti tabù, proprio la guerra è uno di questi ma non è il solo.

Così come è molto difficile il secondo suggerimento dell'ex sindaco, cioè rinforzare le strutture del territorio: siamo nel 2023, i partiti sono entità distanti dalla gente comune, non è più il momento dei circoli e delle feste dell'Unità. Oggi l'opinione pubblica si forma in modo diverso, il Pd come qualunque altra realtà non deve rischiare l'anacronismo.

Per tutti questi motivi suggerisco la scissione, peraltro già avvenuta nei fatti: il Movimento 5 Stelle, passata la sbornia grillina dell'uno vale uno, è oggi un partito progressista che attira le preferenze di una fetta importante del centrosinistra. Il Terzo Polo, o quel che ne resta, è l'ala liberal dei riformisti, culturalmente lontanissimi dall'utero in affitto e da tante altre proposte 'pop' della Schlein.

E' inutile cambiare di continuo il segretario per poi dire che la colpa è sua. Non è colpa sua: non è colpa di Bersani, Renzi, Letta o Schlein. Il problema è strutturale e come tale va risolto alla radice.

 

Primocanale ha commissionato a Tecne’ un sondaggio a settimana su diversi argomenti che riguardano Genova e la Liguria e ogni lunedì mattina forniremo i dati sulle nostre diverse piattaforme web social oltre che in televisione.

Questa settimana focus sul Tunnel Subportuale (che dovrebbe attraversare il porto da Sampierdarena e sbucare in via Brigate Partigiane) e sull’abbattimento conseguente o meno della Sopraelevata.

Sondaggio Tecné per Primocanale, tunnel Subportuale e sopraelevata: il parere dei genovesi - GUARDA QUI

Da questa mattina e per tutta la giornata i nostri utenti potranno commentare sulle varie piattaforme inviando messaggi sui canali social (Instagram e Facebook) o scrivere alla nostra mail .

Il sondaggio diventerà’ anche argomento di dibattito in televisione nel programma di Enrico Cirone a partire dalle 11 e questa sera alle 21 in un dibattito dove parteciperanno esponenti favorevoli e contrari. Apriremo delle riflessioni su molti punti ancora poco chiari di questa opera molto discussa della città.

L’assessore e vice sindaco Piciocchi parteciperà in diretta rispondendo a diverse domande che potrebbero chiarire aspetti molto delicati per la cittadinanza.

Il Vice Presidente della Commissione Trasporti del Senato Lorenzo Basso porterà delle sue riflessioni e considerazioni sul tema.
Esiste poi la conseguenza di un eventuale tunnel subportuale: l’abbattimento della Sopraelevata. I genovesi ci sono molto affezionati e la maggioranza non vuole che venga abbattuta. Toglierla potrebbe voler dire affidarsi unicamente al tunnel per il futuro e sembra una scelta molto avventata e pericolosa per i collegamenti tra est e ovest della città. Basti pensare oggi cosa accade quando la sopraelevata è bloccata per qualche ragione.

Genova se proprio vogliamo ha bisogno di una direttrice in più tra est ed ovest non di una che sostituisce l’altra e peraltro non è pensabile, a mio giudizio, neanche un abbattimento parziale perché creerebbe caos in un punto della città’ nevralgico come Caricamento.

Ci sono anche come scommessa sull’abbattimento già speculazioni immobiliari o chiamiamole legittime scommesse perché i palazzi e i terreni davanti alla Sopraelevata avrebbe notevoli incrementi di valore qualora venga abbattuta.


Noi apriamo questo dibattito che deve restare aperto e visto che questo tema fa parte dei progetti che possono determinare il futuro di Genova è bene che ci sia estrema chiarezza e comunicazione verso tutti i cittadini che possano valutare l’opportunità o meno di come affrontare i due temi: costruzione del tunnel e abbattimento della Sopraelevata
Il dibattito è aperto chiunque può scrivere e inviare il proprio pensiero.

Il brutto risultato conseguito dal PD alle amministrative di maggio è stato letto, come sempre, anche in chiave politica, in particolare in relazione al ruolo di Elly Schlein, eletta da appena tre mesi. Se la correlazione tra il risultato e la nuova segretaria può essere discutibile, l’esito elettorale è francamente molto negativo per il PD, anche perché non si intravvede, al momento, né un impianto programmatico condiviso, né un organico quadro di alleanze in grado di battere la destra. Il “campo largo” Pd-5S si è presentato in pochi comuni ed è stato ovunque sconfitto. Smentendo l’idea che una vittoria di Schlein avrebbe rafforzato questa formula. Nè c’è stato un recupero dell’astensione di sinistra, uno degli obiettivi del nuovo corso. Ma tuttavia l’efficacia di una segretaria neo eletta va misurata su scenari e in tempi diversi.

In Liguria il risultato è stato molto pesante: il centro sinistra ha perso tutte le competizioni nei quattro centri maggiori, compresa la roccaforte di Sestri Levante. Otto anni fa, quando io stavo per concludere la mia esperienza in regione, il PD era forza di governo in dieci dei dodici enti territoriali più importanti (la regione, i quattro capoluoghi e cinque dei sette comuni con più di 15mila abitanti: Ventimiglia, Sanremo, Albenga, Sestri Levante e Sarzana; mentre era all’opposizione solo a Rapallo e Chiavari).

Ora il Pd governa solo Savona e Albenga: due enti su dodici. Non ho indicato qui Sanremo perché il Pd, pur avendo fatto parte dell’alleanza che ha vinto le elezioni, non è più rappresentato né in giunta né in consiglio: assessori e consiglieri si sono dimessi dal partito e hanno dato vita a un gruppo autonomo.

Il gruppo dirigente che ha sostenuto Elly Schlein è pienamente titolato a governare il partito, tanto più che la Liguria è l’unica regione in cui la segretaria ha avuto il consenso anche tra gli iscritti. Tuttavia, questo gruppo dirigente, che vince regolarmente i congressi, perde sempre le elezioni. L’unico caso in controtendenza degli ultimi anni è quello di Savona, dove si è vinto con un approccio politico e programmatico completamente diverso da quello usato per la regione e per le più importanti città liguri. Per questo il successo di Savona va totalmente riconosciuto a Marco Russo e alla sua squadra.

Un gruppo dirigente che vince i congressi ma perde sistematicamente le elezioni deve porsi delle domande. A meno che esso non sia rassegnato a governare il partito con il solo obiettivo di “garantirsi” i posti assegnati all’opposizione: un’ipotesi sollevata, ormai parecchio tempo fa, dall’associazione Genova che Osa.

Se il PD intende invece candidarsi a tornare al governo della regione e dei comuni dovrà fare tesoro delle esperienze vincenti particolarmente diffuse nel savonese: il capoluogo, Albenga e numerosi centri importanti, da ultimo Carcare.

Per questo nella prima incontro in presenza di “Vasta” nel dicembre 2021 chiedemmo a Marco Russo e alla squadra di presentarci il loro percorso originale: un lungo cammino tra le forze vive della città per costruire un progetto per Savona attorno alle idee, rifiutando quella sommatoria di “sigle a priori” con cui il centrosinistra ha collezionato una sfilza di insuccessi ormai piuttosto lunga. Un percorso con un carattere chiaramente civico, ma che non ha affatto escluso un rapporto con i partiti. Con nessun partito. Nemmeno con i Cinque Stelle, che si sono autoesclusi e al ballottaggio hanno preferito l’accordo perdente con il centrodestra.

L’esperienza recente del dibattito sul porto realizzato ancora da “Vasta” credo abbia dimostrato che si può tornare ad avere una centralità politica solo partendo dai contenuti, dalle proposte, come ha riconosciuto anche Mario Margini. Queste proposte si costruiscono in un rapporto positivo con tutte le realtà (sociali, economiche, culturali), nessuna esclusa. Lo dico chiaramente: anche con le imprese.

E’ stata questa la forza della nostra lunga esperienza di governo in regione, a Genova e in tanti altri comuni. E’ questo l’unico percorso possibile per tornare ad essere forza di governo. Se ci si accontenta solo di occupare i posti riservati all’opposizione alla fine non si conta più nulla. Perché i corpi sociali, se non si sentono più rappresentati, cercano nuovi referenti politici. No, non perdiamo voti solo perché i vecchi muoiono, li perdiamo anche perché molti elettori ci stanno abbandonando. Perché la lotta alle diseguaglianze si pratica, non basta declamarla.

GENOVA - Secondo me un effetto Schlein sul recente voto amministrativo c'è stato. E in negativo. Ma concordo sul fatto che la neo segretaria del Pd sia l'ultima colpevole della sconfitta: stava da troppo poco tempo in sella, neanche tre mesi, per poterle chiedere il miracolo di invertire brutalmente la tendenza. Al di là dei sondaggi che invece, sul piano nazionale, danno il partito in recupero.

Se questo è vero, ed è vero, mi chiedo: come mai gli stessi dirigenti "piddini", i giornaloni e le televisioni schierati a sinistra, sindacati come la Cgil e simpatizzanti vari non hanno usato lo stesso metro con la premier Giorgia Meloni? Tutti costoro, che oggi sono giustamente pronti a rilevare il brevissimo corso di Elly, non hanno avuto la medesima onestà intellettuale nei riguardi di Giorgia. Difatti dopo lo stesso periodo chiedevano a gran voce che la neo Presidente del Consiglio risolvesse problemi storici del Paese!

Questa cosa non riconduce ad una pur legittima visione di parte di ogni argomento, bensì introduce il problema enorme che il Pd ha nei confronti della società reale: la credibilità. Siccome il cittadino non è scemo, ognuno fa semplicemente uno più uno e rivolge altrove la propria attenzione. Oppure non va a votare.

Il tema della credibilità è profondo, profondissimo. Eppure il Pd non sembra rendersene conto. Prendiamo la storia della Rai. Tutti i personaggi di cui sopra a gridare all'occupazione del potere da parte del centrodestra. Verissimo. Solo che prima di Meloni e soci proprio il Pd e il centrosinistra hanno fatto esattamente la stessa cosa: perché questa sarebbe una buona cosa e quella una vergogna?

E poi la vicenda è stata raccontata in modo distorto: Fabio Fazio se n'è andato perché l'amministratore delegato della Rai Carlo Fuortes (scelto dal governo guidato da Mario Draghi a forte trazione Pd) neanche lo ha chiamato per rinnovargli il contratto, mentre Lucia Annunziata era stata già confermata nel palinsesto ma ha deciso di lasciare perché non condivide "nulla" con questo esecutivo. Legittimo, però, appunto, se ne va lei, non viene cacciata. Invece si tende ad avvalorare una realtà (falsa) diversa. È così ci risiamo con il problema della credibilità.

Che poi riguarda i temi dell'economia, dell'ecologia, del lavoro, della sicurezza ambientale: fino alle ultime elezioni politiche era il Pd a suonare la musica di governo, anche se non aveva mai vinto nelle urne. I suoi dirigenti, a cominciare dall'ex segretario Enrico Letta, lo hanno menato per mesi con l'Agenda Draghi: nessuno sapeva cosa diavolo fosse, in che cosa consistessero i contenuti. Poi hanno virato su altro, con disinvoltura totale, mai ponendosi però il problema che le persone fossero rimaste lì, senza capire alcunché. Una questione di credibilità.

È un requisito che non raramente difetta anche al centrodestra, solo che da questo schieramento un po' se lo aspettano anche gli elettori. Se tu parli con un "fratello d'Italia, con un leghista o con un "azzurro" nessuno tenta di convincerti che il Signore è morto dal freddo visto come stava sulla Croce. Al Pd, invece, non vengono fatti sconti, perché in quel partito tanti (non tutti, per fortuna) provano a convincerti pure dell'impossibile.

Vedi la questione delle correnti interne al Partito democratico. Tu, parlo di Elly Schlein, non puoi vincere l'Opa ostile, perché di questo si è trattato visto come si erano espressi gli iscritti, favorevoli a Stefano Bonaccini (la Liguria è stata una eccezione) e poi comunque godere del sostegno di Franceschini, Orlando e via elencando. O ti fanno schifo sempre, oppure mai. Un po' è un po' non è credibile.

Per questa ragione non sto con Claudio Montaldo, al quale riconosco una grande capacità politica, o con Marta Vincenzi (il Pd avrebbe bisogno di qualcosa di simile), bensì con Mario Paternostro: almeno in Liguria, tutti i responsabili del disastro Pd, la cui crisi viene da molto lontano, facciano fagotto. Largo ai nuovi e soprattutto ai giovani, poi vediamo che succede.

A ben vedere è lo stesso suggerimento che si potrebbe dare a Elly Schlein: provaci a rivoltare il partito come un calzino, con coraggio e soprattutto con credibilità. Vuoi andare più a sinistra perché in questo credi? Fallo, ma senza i Franceschini di turno, perché non c'entrano niente. Se, invece, sulla guerra dici che vuoi sostenere l'Ucraina, ma anche che non vuoi usare i fondi del Pnrr per fornire le armi, allora lascia perdere. Il "ma anchismo" non funziona e se Elly vuole la conferma basta che si rivolga a Walter Veltroni, guarda caso un suo predecessore. Mica tanto fortunato.