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Dopo cento giorni di guerra viaggio nel dolore della comunità della chiesa di Santo Stefano: già tre i soldati morti che hanno familiari in Liguria
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GENOVA -Cento giorni di guerra sono un'eternità. Ma gli ucraini di Genova raccolti attorno alla chiesa di Santo Stefano non hanno perso l'orgoglio, ma fa un certo effetto sentire parlare di resistenza militare il padre spirituale della comunità Vitality Tarasenko
"Ieri abbiamo ricordato tutti i caduti, vogliamo sperare che questa resistenza continui"


Oleg Sahaydak, il portavoce, dalla prima intervista, cento giorni fa scoppiò in lacrime davanti alla telecamera, oggi appare più forte: "Ucraina continua a resistere non come hanno pensato loro, (i Russi ndr) che credevano che in due o tre giorni sarà tutto fatto, noi continuiamo a combattere".


Fra le pieghe storie dei profughi di ritorno: famiglie che si erano illuse e hanno provato a tornare in Patria, e poi scappate ancora una volta.




Oggi davanti alla chiesa c'era una donna impietrita dal dolore: il marito, un soldato, come il figlio, è prigioniero da aprile. Ad avvertirlo è stata la telefonata di un soldato russo. Da quel giorno la donna, che vive a Genova con la figlia, non ha più saputo nulla.

Padre Tarasenko poi ricorda i tanti lutti della comunità, come i due nipoti di una badante di Chiavari morti combattendo

Il rito più toccante nella Santo Stefano è la preghiera per le decine di soldati in guerra che hanno le famiglie a Genova.
Nomi scritti su un cartoncino custodito sull'altare, una lista da cui nei mesi scorsi sono stati depennati tre nomi, tre soldati che i loro familiari non rivedranno mai più perché morti combattendo per la libertà dell'Ucraina.