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Marcenaro (Fondazione Cepim): "I nostri ragazzi autonomi grazie alle terapie, ma è un equilibrio delicato".
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GENOVA -"Le persone affette della sindrome di down sono soggetti che grazie alle terapie riabilitative riescono a condurre una vita autonoma con tanto di inserimento nel mondo lavorativo, l'importante è non emarginare ma aiutarle ad integrarsi".

A parlare a Primocanale è Fabio Marcenaro, responsabile della direzione tecnica operativa della Fondazione Cepim di Genova.

Lo spunto per parlare della Trisomia 21, la patologia caratterizzata dalla presenza di un cromosoma in più nella coppia cromosomica numero 21, arriva proprio dal grave fatto di cronaca della comitiva di ragazzi down di Milano che dopo avere trascorso le vacanze pasquali a Genova a Pasquetta non è riuscita a salire sul treno a Principe: sembrava un episodio di discriminazione da parte dei passeggeri, dovrebbe presumibilmente trattarsi di un disservizio delle ferrovie prese d'assalto per le festività. Sul fatto è stata persino avviata un'indagine dalla procura.

"La comitiva di ragazzi down respinta in stazione se si è accorta di essere stata discriminata, se questo è davvero avvenuto, può avere subito un trauma" aggiunge Marcenaro.


In Liguria sono quasi 400 i giovani e gli adulti con sindrome di down o con altri deficit intellettivi di origine genetica seguiti dai servizi accreditati della Fondazione Cepim che ha sede in via Volta davanti all'ospedale Galliera.

Marcenaro spiega anche che nonostante alcune complessità relative alla gestione della disabilità, in realtà il rapporto fra le persone con una disabilità e la famiglia è bellissimo e che i soggetti con problemi intellettivi provocati da anomalie genetiche alla fine del percorso terapeutico possono acquisire un elevato grado di autonomia: "I ragazzi riescono a portare a termine gli studi e gli adulti, in buona percentuale, si inseriscono nel mondo del lavoro ed alcuni intraprendono percorsi di vita indipendente".

Persone con disabilità che però rischiano di essere ferite in modo inconsapevole da chi tende a trattarle con riguardi eccessivi, mettendo davanti la disabilità all’essere persona e cittadino.

"Faccio un esempio di tanti anni fa quando una nostra ragazza rimase bloccata da un sottopasso allagato e chiese aiuto per attraversare la strada: sarebbe bastato aiutarla a andare dall'altra parte del marciapiede, invece venne accudita e trattata come una persona incapace di cavarsela da sola, un errore che, anche se in buona fede, bisognerebbe evitare".

 

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