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 “Le carte sono tutte inquiete, ma dipende anche all’uomo che le ha avute tra le mani. Ha un’anima anche un biglietto del tram che racconta le storie di una città. Un biglietto del tram di Lisbona evoca scrittori come Pessoa o Tabucchi, a Parigi il biglietto fa venire in mente che il bigliettaio era il figlio di Verlaine….”. Ecco, Pippo Marcenaro, scomparso ieri a 81 anni, era un grande “scienziato delle carte” o “di carte”. All’uscita del suo libro su questo singolare “oggetto zitto e parlante” in un’intervista del 2005 nella mia rubrica Contropagina a Primocanale diceva: “ “Poi c’è un’altra anima delle carte, sono le lettere. Sono non un collezionista, ma un custode di carte e di lettere. Sì, ne ho di importanti, come la lettera di Rimbaud arrivata direttamente dall’Africa attraverso il destinatario, poi passata a Emmanuelli, poi a Carlo Bo, e Bo l’ha data a me. Come vedi c’è una continuità che la distrazione di oggi ci porta a trascurare. La mia preoccupazione è scoprire cosa sta in quella sorta di raggio d’ombra accanto a una traccia lasciata dal passaggio dell’uomo”.

Pippo era uno straordinario curioso. Curioso e colto. In ogni suo “prodotto” metteva curiosità e cultura, fosse un saggio sul suo amato Novecento, mettendoci dentro sempre la sua adorata (e forse come Montesquieu, detestata) Genova o una mostra d’arte, di quelle indimenticabili che con l’aiuto di Piero Boragina realizzò per il Banco di Chiavari e della Riviera Ligure.

La curiosità dovrebbe essere la molla ispiratrice di ogni giornalista e per questo, secondo me, Marcenaro è stato un grande giornalista prima di ogni altra esperienza.

Così carte e parole sono state gli obiettivi delle sue ricerche, anzi delle sue “récherches” .“Oggi – mi raccontava in quella chiacchierata del 2005 - lasciamo le tracce negli strumenti elettronici, ma nelle carte resta qualcosa di sospeso, le carte parlano soltanto a chi le sa sentire. E’ come leggere un libro: se uno ha la capacità di risvegliare il testo ne coglie l’importanza, ma oggi purtroppo viviamo in un’epoca in cui abbiamo disimparato a risvegliare i testi.”.

Per Pippo Marcenaro le parole erano la ricchezza di un popolo. “Un Paese che perde la lingua – sosteneva spesso - perde la sua identità e quindi perde la libertà. Oggi parlano con non più di duecento parole. Abbiamo perduto la capacità di giocare con la lingua. Si dice che uno scrittore che ne conosca almeno duemila. Mah, chissà se è vero. Il linguaggio dei messaggini è un linguaggio geroglifico”.

Marcenaro è stato uno dei protagonisti del mio docufilm “Il racconto di Genova”, dove alcuni testimoni per strada narravano la città. Lo ricordo Pippo, seduto su una panchina nell’incanto del Carmine, dietro un murales dedicato a don Gallo. Gli chiesi se secondo lui Genova fosse davvero la “città più inglese d’Italia” così come è stata spesso frettolosamente descritta. “I genovesi si sentono inglesi solo perché indossano le cravatte regimental”. Era sarcastico anche se dietro questo suo spirito bastian contrario nascondeva un appassionato amore per la sua città che non glielo sta restituendo, ahimé. Da anni cercava una casa degna per la sua incredibile biblioteca, fatta di libri, lettere, carte appunti e per i suoi eleganti Diari. Niente da fare. Un po’, fortunatamente, alla Universitaria, il resto, chissà. Così che la Capitale del Libro rischia di perdere una delle più ricche e straordinarie collezioni italiane del Novecento.  Cinquecento casse, piene di quasi cinquantamila volumi, alcuni rarissimi e preziosissimi che potrebbero emigrare da Genova, così come hanno fatto tanti intellettuali nel passato e purtroppo troppi giovani cervelli ancora oggi. Mi rifiuto di pensare che questa nostra città se la lasci scappare, proprio oggi che piangiamo la scomparsa di Marcenaro, così come accadde negli anni Settanta, quando Genova perse la fantastica collezione d’arte di Alberto Della Ragione, l’ingegnere che negli anni Sessanta avrebbe voluto donare alla sua città, in previsione di un possibile Museo di Arte Contemporanea. Scappò quella collezione e finì a Firenze.

Se sparisse questa collezione, sparirebbero le meravigliose “carte” che nei decenni Pippo ha raccolto con passione e amore maniacale (prerogativa di tutti i bibliofili). Proprio su queste pagine Franco Manzitti lanciava l’idea di sistemare la collezione in una restaurata palazzina Labò alla Villetta Di Negro. Alcuni anni fa, rammaricandomi per l’abbandono di Villa Gruber in Circonvallazione,  ipotizzavo di vedere i libri di Pippo in un piano della villa dei Perrone restaurata e trasformata in scuola.

Riguardo nell’archivio di Primocanale il video di una visita che feci anni fa in salita Santa Brigida, nella casa-museo di Marcenaro per tenere in mano la preziosa lettera dall’Africa di Arthur Rimbaud  a un amico italiano, mi spiegò che Bo consegnandola gli aveva raccomandato: “Questa conservala tu….”. Poi ho tenuto in mano con emozione anche la penna stilografica con cui Carlo Emilio  Gadda scrisse “La cognizione del dolore”.

Per fortuna Vittorio Laura architetto e editore-eroe ha inventato i suoi deliziosi Ottavini, carte minime e pieghevoli in gran parte proprio scritte la Pippo. Dalla “Storia di una seggiola” al “Collezionista di ali”, dal “Passaggio di Rimbaud a Genova”, alla “Cavallerizza Pignone”, dal “Giardino spontaneo della Lanterna”, al Goldoni della “Fotografia di un matrimonio”.

Giuseppe Marcenaro resta qui dentro. E ora che si sta perdendo la lingua speriamo che i suoi libri firmati, con appunti, lettere di accompagnamento, fotografie, la testimonianza di un secolo che i giovani hanno diritto di conoscere, sopravvivano.

Non si può pensare – mi confessò Pippo pochi mesi fa - che il futuro di una città sia fatto solo con le pietre….”.