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Paolo Olmari è entrato nell'ex Ilva di Genova Cornigliano nel marzo del 2000 quando all'epoca la fabbrica siderurgica era gestita dalla famiglia Riva e si chiamava ancora Ilva. In 24 anni ha vissuto i cambiamenti e le tensioni dello stabilimento di Cornigliano
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GENOVA - "Avevamo l'officina più bella del Nord Italia con delle professionalità incredibili, però hanno fatto perdere tutto. Si è persa anche tanta dignità come lavoratori". Paolo Olmari è entrato nell'ex Ilva di Genova Cornigliano nel marzo del 2000 quando all'epoca la fabbrica siderurgica era gestita dalla famiglia Riva e si chiamava ancora Ilva. In 24 anni ha vissuto i cambiamenti e le tensioni che hanno avvolto quella che oggi è Acciaierie d'Italia.

"Nei primi anni ho lavorato nell'area a caldo - racconta -. Era un ambiente diverso rispetto a oggi, si puntava tanto sulla produzione e anche l'indotto aveva molto da lavorare. All'inizio mi aveva colpito molto l'ambiente particolarmente duro: gli spazi stretti, il fumo, veder colare la ghisa e poi quel polverino metallico con odore di zolfo. Era un ambiente che non tutti riuscivano a reggere".

Nei primi anni 2000 le ultime assunzioni poi un settore che lentamente ha vissuto sempre più momenti di crisi e tensione. Nel 2005 arriva anche la chiusura dell'altoforno di Genova Cornigliano. "Negli anni ci sono stati tanti cambiamenti, sono uno di quelli che ha fatto l'ultima colata dell'altoforno. Abbiamo visto la dismissione dell'area a caldo con la famiglia Riva che ha concentrato gli investimenti sulla linea dello zincato e il decatreno. Col primo commissariamento abbiamo avuto paura per la chiusura della stabilimento".

Con lo stop dell'area a caldo sono iniziati i lavori di pubblica utilità. "Un periodo strano, nessuno aveva esperienza sia per noi che per le istituzioni locali. Magari capitava che chi era di Pontedecimo doveva andare verso Nervi e viceversa, nascevano degli scontri verbali anche forti. Tante volte è dovuto intervenire l'ex sindaco Pericu che provava a tranquillizzare gli animi dicendo che i lavori di pubblica utilità potevano essere interscambiabili tra i lavoratori, cercava un modo per mettere tutti nelle condizioni migliori" racconta Olmari.

Nel 2012 un'inchiesta per reati ambientali e di inquinamento ha portato la Procura di Taranto a ordinare il sequestro senza facoltà d'uso degli impianti dell'area a caldo. Per salvaguardare lo stabilimento e l'occupazione, lo Stato ha avviato la procedura di commissariamento dell'azienda e fatto partire una gara internazionale per una riassegnazione. Poi si affaccia il gruppo multinazionale franco-indiano Mittal. "Con la chiusura dell'area a caldo sono passato all'area a cilindri - racconta Olmari -. Con l'arrivo di Mittal abbiamo avuto un barlume di speranza. Di certo è cambiato molto. Con Riva avevamo un rapporto diretto con loro, una multinazionale, ci siamo ritrovati una situazione in cui non sapevamo più con chi rapportarci, non eravamo abituati. C'era una sorta di autogestione. È stato bello i primi mesi. Nell'area dove lavoravo io è arrivato un tecnico spagnolo. Dopo che a Taranto c'è stato lo scudo penale il tecnico spagnolo ci ha detto chiaramente: 'Voi Mittal non la vedrete più'. Da quel momento in poi ci sono stati tanti problemi".

Con la crisi arriva la fine dei premi e anche gli stipendi si abbassano. "Una persona con 25 anni di anzianità se prima prendeva 1800 euro ora ne prende 1500, una famiglia monoreddito non riesce ad arrivare alla fine del mese. Abbiamo colleghi che si sono trovati in difficoltà col mutuo, con la scuola dei figli, ecc". Ma nello stabilimento di Cornigliano quando ci sono momenti di difficoltà si mettono in moto una serie di misure utili a dare sostegno ai colleghi che hanno bisogno. "Abbiamo l'auto mutuo aiuto con la Guido Rossa che ha sempre dato una mano ai lavoratori ad affrontare le situazioni più gravi come la spesa per le medicine. Gli stessi colleghi quando ci sono problematiche particolari si danno una mano l'uno con l'altro. Siamo molto legati, col fatto che non ci sono state più assunzioni ci conosciamo tutti da 20 anni ormai".

Ma com'era il rapporto con i lavoratori più anziani? "Era meraviglioso - racconta Olmari -. Da giovani di 24-25 anni vedevamo quelli di 50 e pensavamo fossero anzianissimi, ora che siamo arrivati a quell'età col senno di poi non erano così anziani. Mi colpiva che nel tempo c'era stata la questione del pre pensionamento per l'esposizione all'amianto. All'epoca l'età massima era 55 anni, oggi abbiamo colleghi che hanno 63 anni e ancora lavorano in un ambiente duro come una fabbrica siderurgica. Oggi vediamo gente stanca, il problema grosso rimanda agli ultimi 3-4 anni, non c'è stato più nemmeno un investimento".

Al momento di entrare in fabbrica per la prima volta veniva consegnato a ogni lavoratore dei documenti con tutte le spiegazioni sui lavori da fare e le misure di sicurezza da adottare in fabbrica. Oggi è tutto digitalizzato ma 25 anni fa il materiale veniva consegnato cartaceo. "Poi c'erano gli anziani che ci istruivano. Nell'altoforno avevamo una macchina per forare da dove usciva la ghisa, se non si riusciva bisognava andare con un tubicino d'ossigeno a prenderla. Era pericolosissimo ma da giovani, anche per farci vedere dai neoassunti, facevamo a gara per andare. Viene il rammarico nel ricordare i tempi che furono e veder come è stato ridotto in questi anni".

Momenti brutti? "Sì, nei primi anni ci sono stati due episodi gravi. Uno quando si è rotto il crogiolo dell'altoforno. C'era stata un'esplosione grossa con la ghisa che si e riversata sotto all'altoforno. La seconda volta ero in sala controllo quando si è rotta una tubiera e ha iniziato a uscire tutto il coke incandescente (il coke è il residuo della distillazione del carbon fossile ndr), sembrava di avere un aereo in campo di colata. Oggi chi tiene duro sono i Cappellani del lavoro, don Molinari è sempre in fabbrica".

L'arrivo di Mittal e l'assenza di investimenti nello stabilimento ha causato nel tempo una serie problematiche: "È mancata anche l'acqua da bere nello stabilimento, così come il vestiario, abbiamo difficoltà con il riscaldamento. Nel reparto avevamo messo le stufe radiali che una volta rotte non sono state piu riparate, il freddo si sente. La fiducia l'abbiamo persa, la speranza rimane sempre. La fiducia che venga ristabilito un reddito decente, che ci sia la possibilità di continuare a fare siderurgia a Genova".