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Il presidente di Federacciai Antonio Gozzi ha commentato: "Questo è il momento della verità, non so quali altre prove di appello ci debbano essere"
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GENOVA - Un'altra fumata nera nella lunga partita legata al futuro dell'ex Ilva. Dopo il nulla di fatto dal consiglio di amministrazione di giovedì scorso a Milano, oggi altra tappa a vuoto. L'assemblea è stata nuovamente aggiornata questa volta al 6 dicembre. Ancora futuro incerto dunque per i lavoratori del comparto.

ArcelorMittal avrebbe infatti per il momento rifiutato di investire la propria quota (62%) nella necessaria ricapitalizzazione di 320 milioni di Acciaierie d'Italia. Propria parte che lo Stato con la controllata Invitalia (che ha in mano il 38%) invece è disposta a fare. Un ennesimo strappo che ha portato a un nulla di fatto e le parti che hanno così deciso di incontrarsi nuovamente tra una settimana.

Tra i temi affrontati, la posizione del presidente Franco Bernabé, che potrebbe rimanere ancora al timone, nonostante le ventilate dimissioni, per gestire il momento delicato, le modalità per far fronte al pagamento della fornitura di gas e alle esigenze più immediate dello stabilimento di Taranto, la complicata situazione finanziaria, e la richiesta di 320 milioni per far fronte alle esigenze di produzione. I sindacati chiedono chiarezza al gruppo per capire quali sono le intenzioni. Acciaierie d'Italia oggi è in mano per il 62% ad ArcelorMittal mentre il restante 38% è sotto il controllo di Invitalia, partecipata dello Stato.

Cda ex Ilva, l'azienda: "Passi avanti". I lavoratori: "Servono investimenti" - Leggi qui

Prima del nuovo nulla di fatto il presidente di Confindustria Carlo Bonomi a Genova per un evento ha detto: "Questo Paese deve decidere se l'acciaio lo vuole o no. Credo che sia fondamentale avere l'acciaio e quindi spero in una soluzione positiva perché Acciaierie d'Italia è un asset strategico per il nostro Paese".

Il presidente di Federacciai Antonio Gozzi ha commentato parlando ad assemblea in corso: "Questo è il momento della verità, non so quali altre prove di appello ci debbano essere. Se la più grande siderurgia del mondo mette soldi e management per salvare il più importante impianto italiano questa è la soluzione migliore ma se non fa questo bisogna voltare pagina. Il ministro Giorgetti ha detto molto bene che in una società dove uno dei soci ha il 62% e l'altro il 38% se c'è bisogno di capitali il socio maggioritario deve mettere il 62% delle risorse e quello minoritario, lo Stato, il 38%. Sembra quasi banale ricordarlo ma vediamo che cosa succede speriamo cose buone".

A Genova i mille lavoratori dello stabilimento di Cornigliano denunciano la grave situazione legata alla sicurezza sul posto di lavoro e la sottoproduzione dell'impianto che lavora al 20% delle sue potenzialità. A questo si aggiunge l'incertezza ormai ultradecennale legata ai 238 lavoratori di Ilva in amministrazione straordinaria che a fine estate sarebbero dovuti essere riassorbiti, cosa non avvenuta visto l'incertezza che riguarda il futuro della siderurgia.

L'amministratore delegato di Acciaierie d'Italia Lucia Morselli ha spiegato che per rilanciare nell'immediato la produzione degli stabilimenti servirebbero 350 milioni. Secondo quanto riporta MilanoFinanza l'ex-Ilva dispone infatti di una sola linea di credito da 250 milioni di euro attivata da Unicredit con scadenza a maggio 2024. Nel mentre Franco Bernabé, presidente dell’holding di Acciaierie d’Italia ha congelato le sue dimissioni.

Diverse le opzioni possibili, la principale potrebbe essere l'impegno di ArcelorMittal a rilanciare la produzione. La seconda, meno probabile, vede lo Stato aumentare il suo peso specifico nella gestione di Acciaierie d'Italia. 

LA SITUAZIONE - L'ex Ilva non vive sogni sereni, per portare avanti il processo di de-carbonizzazione sono necessari 5,5 miliardi di euro e intanto per il 2023 erano stati annunciate 4 milioni di tonnellate ma ci si fermerà a 3 milioni. Nel 2024 il piano prevede di arrivare a 5 milioni di tonnellate, ma a queste condizioni i sindacati vedono il dato lontano da raggiungere. Lo Stato ha spiegato di essere pronto a fare la sua parte per avviare il processo. I sindacati a Genova hanno denunciato la mancanza di pezzi di ricambio, fatto che genera il fermo dell'impianto, inoltre è sotto la produzione prevista la banda stagnata, fondamentale per lo stabilimento di Cornigliano perché è l'unico in Italia capace di produrla. 

A Genova si è anche aperta la possibilità di rivedere l'accordo di programma che regola tra le altre cose la gestione delle aree ex Ilva a patto di conservare il reddito dei lavoratori. L'accordo di programma e le aree ex Ilva sono al centro del dibattito in queste settimana. Su quelle aree c'è l'interesse di tanti si parla di quasi 1.000.000 metri quadri vicine all'aeroporto e vicine all'autostrada, sul mare e fornite di banchina. Un accordo che prevedeva occupazione per 2500 lavoratori dello stabilimento di Genova Cornigliano, oggi in realtà sono circa 1000 più 200 in amministrazione straordinaria. 

 

 

 

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