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Sulle alture di Bonassola, si tratta dell'antesignano dello sciacchetrà
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BONASSOLA - Un sogno diventato realtà: si chiama Ruzzese è un vitigno autoctono di pregio salvato dall'oblio dopo un secolo da un giovane ligure, Davide Zoppi, sulle alture di Bonassola. La storia di Davide e del Ruzzese, un passito precursore dello Sciacchetrà, amato da Papa Farnese ma dimenticato da tempo era stata raccontata da Primocanale nel 2019 (LEGGI QUI). Questo week end il progetto viene presentato in anteprima a VinItaly.

La storia del recupero del vitigno Ruzzese ad opera dell’azienda Cà du Ferrà, ha il sapore di un romanzo d’avventura e nasce otto anni fa. E come ogni buona storia che si rispetti, tutto ha inizio per caso. Davide Zoppi e Giuseppe Luciano Aieta, giovani titolari dell’azienda vitivinicola con sede a Bonassola (SP), anni fa partecipano a un convegno a Vernazza, nelle Cinque Terre, sul tema dei vitigni recuperati, desiderosi di conoscere il passato della viticoltura costiera della Liguria. È qui che vengono a conoscenza della storia di una varietà ligure unica nel suo genere e sconosciuta ai più, anche ai liguri: il Ruzzese. Questo antico vitigno a bacca bianca, tipico del Levante ligure, nell’area compresa tra Bonassola, le Cinque Terre e i Colli di Luni, conquista subito i due intraprendenti produttori. 

"Sono solito essere una mosca bianca, intraprendenza e caparbietà mi contraddistinguono da sempre - racconta Davide Zoppi a Primocanale - non demordo mai, c'è voluto un grande impegno, una grande costanza e buttare il cuore oltre l'ostacolo ma se c'è un progetto valido e la forza di volontà i sogni si avverano".

"Dopo 8 anni di lavoro sono veramente orgoglioso ed emozionato che al Vinitaly si potrà assaggiare il Ruzzese annata 2020".

A partire dal VI secolo d.C, il vino Ruzzese dalle coste liguri in cui nasce e si sviluppa, spicca presto il volo, e dalle tavole dei contadini raggiunge Roma, destinato a fare grandi cose. La sua amabilità, la sua forza e struttura sono infatti ben presto apprezzate dai commensali più blasonati. Le sue qualità si diffondono di bocca in bocca, fino a raggiungere il banchetto più ambito: la mensa papale. Si narra infatti che il vino Ruzzese fosse molto apprezzato da Papa Paolo III Farnese, in carica dal 1534 al 1549, e che il suo bottigliere Sante Lancerio, sommelier ante litteram, lo avesse proposto al Santo Padre in qualità di uno dei migliori vini che l’Italia potesse offrire a quel tempo.
Per più di quattro secoli, dalla metà del Cinquecento fino ai primi del Novecento, questo passito di carattere troneggia sulle tavole più importanti, versato non solo nel bicchiere ma anche nel piatto, come ‘condimento’ per la zuppa, anche dallo stesso Papa.

Verso i primi del Novecento, per il Ruzzese inizia infatti un lento declino che lo porterà via via a scomparire dalle tavole liguri, e non solo, per più di un secolo. La Fillossera, temutissimo insetto che tante vittime dalla foglia stellata miete, colpisce anche la vite Ruzzese, raggiungendo l’Europa dall’America e sterminando interi vigneti e mettendo in ginocchio migliaia di contadini.
La storia vuole che la marchesa di Villa Durazzo di Genova Pegli e Valpolcevera, per lenire le sofferenze dei coltivatori e ristabilire la viticoltura, offrì loro dei tralci di vite trovati in mezzo alla macchia mediterranea, tralci da cui ha origine il vitigno Bosco, che per molto tempo offuscherà la memoria del Ruzzese, sostituendolo per oltre un secolo.

Bonassola, così rinasce il vitigno di Ruzzese sparito da 600 anni

A rinvenire il Ruzzese dal suo passato glorioso determinante il ruolo di Regione Liguria che intorno al 2007 decide di coinvolgere il Consiglio Nazionale delle Ricerche di Torino e l’Istituto Nazionale di Protezione Sostenibile della Vite. È così che il Prof. Mannini e la Prof.ssa Schneider, come dei talent scout, partono alla scoperta dei vitigni storici della Liguria. Perlustrano tutto il territorio, da Ponente a Levante, dal mare ai monti, fino a imbattersi nel comune di Arcola in una misteriosa pianta madre, con un ceppo importante da cui, una volta estratta la sequenza genetica, individueranno proprio lo storico Ruzzese che stavano cercando.


Il Ruzzese è un vitigno unico, non assomiglia a nessuno. Possiede un grappolo spargolo, acini piccoli e dalla buccia corposa, a scapito della polpa, e ciò lo rende interessante dal punto di vista fermentativo, ad esempio per ottenere ottimi passiti. È un vitigno che non soffre la siccità e mantiene un’acidità straordinaria.

Un vitigno del futuro nato nel passato 500 anni fa ma molto resiliente che secondo Davide potrà essere un vitigno del futuro anche per la capacità di resistere alla siccità.


'Diciassettemaggio' è il nome scelto per il passito bianco Ruzzese di Cà du Ferrà. Si tratta di una dedica che Davide ha scelto di fare al marito Giuseppe, nato proprio il 17 di maggio. Un gesto d’amore e di gratitudine. Un gesto complice, per due persone che condividono la stessa passione per il vino e lo stesso progetto di vita privata e professionale da 17 anni. "Cosa c’è di più personale del compleanno? Questo vino è un omaggio a Giuseppe ma anche alla storia del Ruzzese – racconta Davide Zoppi – Le date, i numeri hanno forgiato i secoli, ed è proprio ripescando nei secoli passati che abbiamo recuperato e ridato alla luce questo vitigno ligure unico".

Nel dicembre del 2022 a Bonassola è stata fondata la “Comunità Slow Food per la Protezione e Valorizzazione del Ruzzese del Levante Ligure”. Obiettivi dichiarati, oltre alla tutela e allo sviluppo dell’antica cultivar, anche la diffusione della sua conoscenza, a cominciare dalle sue peculiarità, prima fra tutte la sua straordinaria resistenza ai cambiamenti climatici.

Davide Zoppi ha ricevuto il premio “Viticoltore Etico 2022” alla 54esima edizione di Vinitaly.