Cronaca

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Le riflessioni di Maurizio Maresca, pubblicate su Il Primo online nei giorni scorsi, sono stimolanti ma allo stesso tempo mi sembrano il frutto di un’analisi fondata su un capovolgimento della realtà. Vado per punti.

1. L’epicentro della crisi mondiale si situa nel paese, gli USA, che ha fatto della competitività la sua ideologia.

2. Le liberalizzazioni, che dovrebbero accrescere la competitività, si traducono in processi di fusione societaria (vedi Iride-Enìa) che vanno nella direzione di oligopoli privati e determinano come conseguenza perdita di occupazione, riduzione dell’offerta e aumento delle tariffe. Il “libero” mercato rappresenta – anche da un punto di vista economico – l’utopia di un ritorno all’età dell’oro del capitalismo concorrenziale, un’età conclusasi a cavallo tra ‘800 e ‘900. Negli Usa un secolo fa esistevano circa 200 case automobilistiche, ora ne sono rimaste praticamente due.

Ma veniamo a noi. Prendiamo proprio Iride-Enìa. Rifondazione Comunista dà un giudizio nettamente negativo su questa operazione perché essa sviluppa la logica di precedenti aggregazioni fatte senza una logica industriale, ma con un’attitudine esclusivamente finanziaria: fare cassa e rincorrere il mercato della Borsa, tra l’altro nel momento della sua catastrofe. La fusione Amga-Aem in un anno ha prodotto riduzione dell’occupazione del 10% (-120 posti di lavoro); perdita di professionalità preziose e del legame col territorio, cioè di requisiti fondamentali per garantire la qualità dei servizi; aumenti tariffari. Del resto è paradossale che si arrivi a giustificare liberalizzazioni e privatizzazioni per “dare un senso all’Authority” istituita dal Comune di Genova.

Quanto al resto mi si permettano solo due battute. Sul Porto si sta facendo avanti una strana idea di legalità: la legalità degli artt. 16 e 17. Tutto il resto – banchina pubblica, salario di mancato avviamento e il Protocollo sulla sicurezza siglato più di una anno fa e finora rimasto lettera morta – sembra non rientrare nella legalità.

Infine sul Terzo Valico, faccio notare che la sua presunta necessità si fonda sulla previsione di uno sviluppo esponenziale dei traffici per milioni e milioni di Teu. Qualche anno fa – in piena bolla della new economy – il sottosuolo dei paesi occidentali venne traforato e cablato con milioni di chilometri di fibre ottiche, in previsione di un’analoga esplosione del traffico telematico, mentre le quotazioni dell’high tech si impennavano. Quando la bolla esplose quei valori precipitarono, centinaia di migliaia di lavoratori vennero licenziati e ora quei “terzi valichi telematici” giacciono in gran parte inutilizzati nel sottosuolo.

Potrebbe essere un utile spunto di riflessione.

*Consigliere regionale Rifondazione Comunista