cronaca

All'entrata del capannone subito il reperto B132, fra le prove più importanti dell'indagine
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Piove come quel maledetto 14 agosto di tre anni fa. Quando il guardiano in un silenzio irreale apre il cancello del capannone dell'Amiu dove sono custoditi i resti di Ponte Morandi, come cadaveri di cemento nascosti sotto grossi teli bianchi e impolverati, si rimane allibiti.

Siamo in lungo Argine Polcevera, sotto a dove c'era il Morandi e dove adesso c'è il nuovo ponte, il San Giorgio.

Appena messo piede dentro il grande capannone, dentro questo hangar, un cimitero di cemento, ci si trova subito davanti ai grossi pezzi di calcestruzzi e i cavi arrugginiti: i resti del ponte, un pugno allo stomaco, un monumento all'incuria che ha ucciso 43 innocenti, bambini, donne, mamme, figli, papà, lavoratori, turisti, famiglie intere, che hanno avuto l'unica colpa di passare sul ponte a quell'ora di quel maledetto giorno, sotto quella pioggia battente.

Nel capannone il silenzio è assoluto, interrotto solo dal ticchettio della pioggia che batte sul tetto.

Subito davanti, e non può essere un caso, il reperto B132, un blocco di calcestruzzo con un grumo di fili arrugginiti, fra le prove più importanti per spiegare il crollo e la tragedia.

Trovarsi davanti a quel pezzo di cemento "ammalorato", come lo definiscono i periti, lascia senza fiato.

Dal video più importante dell'indagine, quello della Ferrometal, si evidenzia che il distacco del ponte sarebbe partito proprio da reperto B132, dalla parte più alta dell'antenna", gli stralli della pila nove, l'inizio della fine.

Più si cammina nel capannone e più si rimane sbigottiti
, ad ogni passo blocchi del Morandi, pezzi degli stralli, del cassone dell'impalcato, pezzi di catrame, di asfalto, cavi, guaine, blocchi di cemento di ogni dimensione.
Cilindri di calcestruzzo esaminati persino in sofisticati laboratori svizzeri. Un camposanto dove le lancette della vita sembrano ferme, ferme al quel tragico 14 agosto del 2018.

Davanti all'hangar, aldilà di un cancello, ancora i resti di due dei veicoli precipitati nel baratro, il camion che trasportava un rotolo di acciaio che per tanto tempo si credeva concausa del crollo e il cui autista è stato fra i pochi a salvarsi.
Più avanti un furgone bianco, dove invece hanno trovato la morte due giovani albanesi in viaggio per lavoro.
Dinanzi al deposito c'è quel che resta dell'isola ecologica dell'Amiu dove sono morti due dipendenti in prova, Bruno Casagrande e Mirko Vicini.

La mamma di Mirko, Paola, depone lì un mazzo di fiori ogni mese, ogni 14 del mese, un mazzo di fiori per il figlio, l'ultima vittima recuperata dopo giorni fra le macerie del Morandi.