cronaca

Se fa discutere più una ragazza insolentita allo stadio di un'altra fatta a pezzi dai familiari
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Quando ci si accalora più per una ragazza insolentita allo stadio che per una fatta a pezzi dalla famiglia perché voleva evitare un matrimonio combinato, occorre riflettere.

Allora, gli stadi. Li bazzico ormai da mezzo secolo e ho un vasto repertorio di lugubri ricordi: ho udito cori empi su Superga (31 morti) come sull'Heysel (39 vittime), ho sentito insultare come "orfanello! orfanello!" Ezio Rossi, giocatore del Torino, nel minuto di silenzio per la morte di suo padre; durante un derby ho ascoltato una gradinata intonare per tutto il primo tempo, tutto!, un coro in cui si insinuava che il figlio di un avversario fosse in realtà nato da una relazione della moglie con un compagno di squadra.

Infine, a proposito di donne, prima della semifinale di Coppa Coppe 1990 al Louis II di Montecarlo, la famiglia Grimaldi guidata dal principe Ranieri passò sotto la curva occupata dai sampdoriani, unico settore scoperto dello stadio forse per bieco classismo architettonico, e quella sera diluviava: beh, le principesse Carolina e Stefania vennero salutate dalla curva con un impetuoso "Ollellè / Ollallà" e il resto della canzoncina lo sappiamo perché siamo uomini di mondo. Però il Principato non dichiarò guerra all'Italia, anche perché forse l'avrebbe vinta e dell'Italia a Montecarlo non gliene frega niente, tanto gli italiani che gli interessano hanno già tutti la residenza lì.

Questi erano e sono gli stadi, per lo meno nella parte che più assomiglia ad "Amici miei": un film che oggi sarebbe impossibile girare, al pari di quasi tutti gli altri titoli della commedia all'italiana. Ecco il punto. Perché, a forza di delimitare ossessivamente in senso restrittivo il perimetro del consentito, nel segno della dittatura del politicamente corretto che peraltro nella natia America già fa registrare rigetto, la nobile idea di costruire un mondo più bello giusto e felice ottiene l'effetto di trasformare la società in una cupa caserma dove non si può più dire quasi nulla, pena la scomunica sociale?

Perché, in questo mondo ricco di avvisaglie della “perfezione” enucleata da fior di profeti e profetesse, al dunque si dibatte più di una ragazza insolentita che di una fatta a pezzi? In questo caso c'entra sì il movente diretto, perché parlare di Hina e Salem e di altre sventurate “nuove italiane” - e magari inginocchiarsi per loro - manderebbe in pezzi dopo di loro anche la narrazione irenistica del "multiculturalismo" e della "società multietnica". Ma non è solo quello.

Perché nel chiacchiericcio corrente, specie sul web, l'agenda dei temi del momento insegue - o viene orientata, direi, a inseguire -
l'irrazionalità, l'emotività, lo spregio della realtà a favore dell'ideologia predefinita? Perché alla radice di tutto c'è questa ossessiva ansia di autoflagellazione, che percorre in modo poliziesco e intollerante il vecchio caro maledetto Occidente; che avrà pure i suoi difetti, eccome se ce li ha, ma se alla fine fa da caritatevole ospedale da campo - col beneplacito di sue sparute quanto animose componenti – alla sofferenza del resto del mondo, vorrà dire che nel panorama desolante l'Occidente rappresenta tuttora la parte meno peggio, visto che le masse di infelici che lasciano lande più infelici di loro non si dirigono al dunque né in Cina né nei petroStati del Golfo, paesi pure ricchissimi ed espansivi, ma chiedono tutti asilo nella marcia e decadente e - soprattutto - colpevole Europa?

Di più. Perché gli autori di un coro insolente allo stadio vengono "oggettivamente" (avverbio orribile e totalitario) collegati per rapida analogia al cosiddetto “femminicidio”
, altro mito senza fondamento statistico, altro tema alla moda che – nella rivendicazione di privilegio, ovvero considerare più o meno grave un delitto in base al sesso di autore e vittima, platealmente contraddice la generale richiesta di uguaglianza - ha la sola trista ragione non nella sociologia e nemmeno nell'antropologia ma più banalmente nella fisiologia, ovvero nella maggiore forza fisica dell'uomo rispetto a quella della donna? Che tempo è mai questo, un tempo in cui desta scandalo, è suprema eresia sorvegliata e punita da torvi inquisitori e inquisitrici più feroci e meno acuti di san Roberto Bellarmino, sostenere una verità elementare, ossia che gli uomini sono diversi dalle donne anche nel fisico e sempre lo saranno?

Le cronache sono infatti tutt'altro che povere di fatti di sangue che vedono gli uomini ammazzati o fatti ammazzare dalle donne:
dal 1995 nella mia piccola Sestri Levante non c'era un morto ammazzato, poi nell'autunno 2017 una donna ha fatto uccidere l'ex marito dal nuovo compagno, non lo ha assassinato di persona semplicemente perché da sola non ci sarebbe riuscita. Ma questi fatti non fanno rumore, non sono alla moda. E quando se ne parla, sovente lo si fa in un modo vischioso e ambiguo che talvolta procura fama, col logo commerciale “Dark Lady” e consoni soprannomi: la Circe della Versilia, la Mantide di Cairo, la Spogliarellista Polacca, fino al Kitsch sublime della Patrizia Reggiani interpretata in un film da Lady Gaga.

Chi si stupisce dei cori allo stadio ha forse poca dimestichezza con la realtà, oppure si rifiuta di vederla nella sua interezza. E la realtà è quella che ci ricorda il 35° anniversario, appena celebrato, dei "microfoni aperti" a Radio Radicale: precorrendo l'anonimato oggi garantito dai social, un fiume di sconcezze - bestemmie, razzismo, nazismo, antisemitismo, non mancava nulla - si riversò nelle segreterie telefoniche dell'emittente. Questo era il volto del nostro Paese e forse dell'essere umano, che nasce assai meno buono di quanto promettano alcune ideologie, tanto suggestive nella declamazione quanto disastrose se messe alla dura prova del reale.

Eppure, anche a voler leggere il mondo abbattendo ogni prospettiva trascendente, prendendo come assi cartesiane Darwin e Marx, scopriamo che i due studiosi non possono coesistere: l'uno contraddice rovinosamente l'altro, perché la selezione che premia forza e prepotenza abbatte il presupposto della bontà e fratellanza innata nell'animale umano. Uno dei due, almeno uno, aveva torto. E Freud, se vogliamo dirla tutta, ha completato l'opera. Ma qui, almeno stavolta, andremmo troppo oltre.

Chi si indigna per il coro allo stadio contro la malcapitata tagliaerba, mentre in Afghanistan riprende l'alacre insaccamento delle donne a cura del ripristinato "Ministero per la promozione della Virtù e la repressione del Vizio", incorre forse in un leggero strabismo ideologico, e forse in un'intolleranza più grave di quella che vuole combattere. Tutti quelli che volevano costruire la società perfetta hanno finito per realizzare incubi concentrazionari, mentre quelli che si erano semplicemente prefissi di prendere la realtà per quella che era e aggiustarla, migliorarla, ripararla hanno in definitiva fatto meno danni.

Ecco. Il mio filosofo di riferimento, un vinattiere della marina di Sestri che nella sua osteria - ribattezzata Capocotta, negli anni Sessanta dopo il caso Montesi, perché luogo di perdizione alcolica di pescatori e marinai - dispensava un soave aleatico psicotropo, diceva: il meglio è nemico del bene. Prosit alla sua memoria, caro vecchio Flavio, che perfino sulla lapide dopo il cognome vero gli hanno scritto Capocotta, ché quasi tutti lo conoscevano solo così.

Ché poi, diciamocela tutta, se ti inventi un coro come quello rifilato alla tagliaerba, probabilmente non ne vedi una da quando sei venuto al mondo. E se sei nato col cesareo, nemmeno quella.