cronaca

Alì parla dietro la garanzia dell'anonimato: "Sono ex poliziotto, ora rischio la vita"
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Non può rientrare in Afganhistan perché da ex poliziotto con il ritorno dei talebani rischierebbe la vita. Alì, nome inventato, è un afgano di 38 anni smilzo e lo sguardo sveglio che vive a Genova da sei anni e ora anche nell'angoscia per le sorti della moglie e due figli che sono fuggiti in un villaggio di poche anime lontano dalla loro città, Herat, la terza metropoli del Paese.

In un primo momento aveva accettato di parlare davanti a una telecamera: per denunciare le angherie dei talebani nel suo Paese, contro il suo popolo, poi ci ha ripensato, la paura ha preso il sopravvento e ha detto no, "parlo, ma non davanti alla telecamera, se il mio viso arriva ai talebani la mia vita e anche quella della mia famiglia sono finite".

Incontriamo Alì davanti al negozio di Genova dove lavora: "I talebani non sono estremisti islamici ma solo terroristi, io sono musulmano, io prego, io credo, loro invece no e con la religione non hanno nulla a che vedere, è solo gente violenta che vuole imporre la propria cultura e obbligare le donne alla sottomissione, persone ingnoranti che non hanno studiato e sanno solo ubbidire ai loro capi".

Alì ha alle spalle già tante vite e due traversate dei Balcani nascosto nei sottofondi dei camion: la prima volta per andare in Inghilterra, dove ha vissuto per alcuni anni facendo il muratore, sino a quando è stato espulso perché il suo visto la terza volta non è stato rinnovato, la seconda volta invece ha scelto l'Italia, "perché sapevo che è un Paese dove il rischio di essere espulsi è minore. Ora ho un permesso da rifugiato".

Un'infanzia travagliata nelle montagne dell'Afghanistan, il giovane per fuggire ha sempre dovuto pagare: 5mila dollari la prima volta, 5 mila euro la seconda, a emissari di organizzazioni che organizzano i viaggi, spezzo turchi. "Soldi che avevo guadagnato lavorando nei cantieri dell'edilizia, il mio unico lavoro" spiega.

Viaggi, quelli da clandestino nella rotta dei Balcani, dall'Iran alla Turchia, alla Grecia, viaggi durissimi, rischiando la vita, quasi sempre con la compiacenza dei camionisti e nascosto dentro nascondigli ricavati nei tir che fanno la spola fra Asia e Europa, "viaggi in cui eravamo obbligati a stare ore e ore dentro loculi in cui bisognava mangiare e fare i propri bisogni e dove era impossibile anche solo muoversi, incubi".

Quando è riuscito ad arrivare per la prima volta in Europa, a Londra, poco più che ventenne, pensava di avercela fatta, sperava che la miseria fosse ormai alle spalle e il futuro in Europa, invece i permessi concessi dalle autorità inglesi sono stati interrotti all'improvviso e nel modo più drammatico: "Un giorno che attendevo il rinnovo del visto mi hanno arrestato e messo su un aereo e rispedito in Afghanistan, è stato terribile".
Però Alì non si è mai abbattuto, sapeva che per lui e la sua famiglia a Herat non c'è speranza di avere un futuro, era conscio che i talebani erano un pericolo latente.

Così si rimette in marcia da clandestino per l'Europa, investe tutti i suoi risparmi e pagando i camionisti riesce ad attraversare i monti nascosto dentro la pancia dei tir e alla fine arriva in Italia, a Genova: "La mia infanzia è stata dura, pensate che non so neppure il giorno in cui sono nato, e anche l'anno è incerto. Ho scelto io la mia data di nascita a caso, festeggio il compleanno il primo marzo, perchè è un mese che mi piace, nè caldo nè freddo" dice sorridendo consapevole di quanto sia lontano il suo paese dall'Occidente.

"I talebani sono ritornati troppo facilmente al potere, per me si sono messi d'accordo con gli americani. Appena sono andati via gli Usa sono tornati loro, e nessuno li ha fermati, strano no? E poi sono appoggiati dalla Russia, dall'Iran".

Le sorti del suo Paese le segue dai social e dalle telefonate della moglie e della mamma e ha osservato con gli occhi lucidi le scene dell'assalto agli aerei americani che scappavano da Kabul e la morte di un ragazzo che tentava di arrivare in Europa nascosto nel carrello di un aereo: "Mia moglie mi racconta che le donne ora sono obligate a uscire in burqa, un vestito infatti che non si trova, è esaurito e si può acquistare solo a prezzi molto alti, poi le donne devono uscire sempre accompagnate dal marito o da un familiare stretto, assurdo. Se le donne vengono trovate in giro da sole inoltre sono obbligate a pregare alla moschea più vicinal, sono come schiave degli uomini".

I talebani hanno avviato una caccia all'uomo in tutto il Paese, braccano e uccidono facendole sparire chissà dove tutti coloro che considerano traditori dei loro valori o peggio spie, come gli ex poliziotti e ex militari. E Alì ì bollato, marchiato, perchè è un ex poliziotto.

Un'infanzia nella miseria, Alì da bambino almeno poteva giocare in strada: "I talebani ora invece vietano ai bambini anche di giocare per strada. Non possono neppure far volare gli aquiloni, così hanno spento tutto anche il nostro sorriso" conclude avvilito osservando, come ad accarezzarle con lo sguardo, le foto dei suoi figli adolescenti e della moglie nell'archivio del telefonino che si rigira in mano in modo nervoso come ad aspettare la telefonata che gli può cambiare la vita.

Una leggenda dice che quando Allah creò il mondo,
raccolse le pietre avanzate e le scaraventò sulla Terra: fu allora che, secondo la leggenda, prese forma l'Afghanistan. Incastonato nel cuore dell'Asia, un mucchioì di rocce che ha ospitato, nel corso dei secoli, guerriglieri forgiati dalle avversità naturali e insofferenti a ogni dominazione. Alcuni degli eserciti più potenti l'hanno attaccato nei secoli, ma nessuno ha avuto vita facile. È per questo che il territorio afghano si è guadagnato il soprannome di "tomba degli imperi". È per questo Alì spera che anche la dominazione dei talebani avrà fine.

Il suo sogno? Ora è far venire in Italia la sua famiglia, per questo ha presentato una domanda per il ricongiungimento familiare, ma il benestare deve arrivare attraverso l'ambasciata da Kabul dove a comandare sono i talebani. "Sono sei anni che non vedo la mia famiglia, ormai è una vita, i bambini sono diventati ragazzi, e non so se li rivedrò ancora" conclude avvilito abbassando lo sguardo che poi rivolge fisso allo schermo del cellulare, spento.