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Tra le novità del weekend un film adrenalinico del regista di "Parasite"
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Siamo capaci di rallegrarci del successo delle persone care che ci stanno intorno? E’ la domanda che sta alla base de ‘La felicità degli altri’ del francese di origine tunisina Daniel Cohen, attore sceneggiatore e regista. Tutto ruota attorno a quattro amici di vecchia data, un gruppo che si è consolidato nel tempo all’interno del quale ognuno ha trovato il suo posto. L’armonia però va in frantumi il giorno in cui Léa, la più riservata tra loro, racconta agli altri che sta scrivendo un romanzo. L’inaspettata rivelazione manda in crisi il resto del gruppo che, invece di gioire, comincia a manifestare un crescente disagio di fronte alla realizzazione dell’amica. Una situazione che verrà complicata dal fatto che il libro otterrà un grandissimo successo diventando addirittura un best-seller.

Interpretato da Vincent Cassel, Berenice Bejo e dallo stesso Cohen e tratto da uno spettacolo teatrale, ‘La felicità degli altri’ è una storia che si muove fra toni diversi, partendo dalla commedia, passando per il vaudeville e finendo con accenti sempre più crudeli dove i personaggi si scontrano con i propri limiti, limiti che cercano di superare senza riuscirci, decretando in questo modo il loro fallimento. Di fronte al successo di Léa, vorrebbero non aver paura o non essere gelosi ma è troppo difficile, ciascuno accecato dalle proprie frustrazioni o mancanze. Detto questo, il film non è proprio riuscitissimo perché uno spunto interessante finisce per annacquarsi in dialoghi troppo dimostrativi e personaggi la cui caratterizzazione rimane solo in superficie.

Per i più giovani ecco ‘Peter Rabbit 2: un birbante in fuga’, il sequel del film in live action (che unisce cioè disegni animati a personaggi in carne ed ossa) uscito tre anni fa basato sull'omonimo protagonista dei racconti di Beatrix Potter, diventato dopo il successo dell’originale (115 milioni di dollari di incasso soltanto negli Stati Uniti) il coniglio più dispettoso e famoso dello schermo. Qui si sente infelice e decide di scappare di casa per andare in città, un luogo che a lui, così abituato alla tranquillità della campagna, appare come un mondo incredibile. Lì fa amicizia con un coniglio più anziano che gli rivela di aver conosciuto suo padre e lo prende sotto la propria ala dandogli la possibilità di scegliere che tipo di coniglio vorrà diventare da grande. Rispetto al primo film si perde un po’ quell’umorismo british che strizzava l’occhio anche agli adulti ma nell’insieme è un’opera gradevole costruita su un immaginario molto classico.

Di tutt’altro genere è ‘Madre’ di quel Bong Joon-ho che due anni fa con ‘Parasite’ ha vinto tutto il possibile. E’ proprio grazie al successo ottenuto da quel film che viene distribuita una pellicola in realtà del 2009. Presentato al Festival di Cannes nella sezione ‘Un Certain Regard’, racconta la lotta di una vedova per scagionare il figlio accusato di aver ucciso una giovane ragazza in una piccola città coreana. Un po’ Madre Violenta, un po’ Madre Coraggio, la donna (il cui nome non ci viene mai rivelato) si rende presto conto di non poter contare né su poliziotti pigri né sul suo disonesto avvocato e che sta a lei condurre le indagini, costi quel che costi. Questa volta Bong Joon-ho non mescola i generi come è solito fare spesso né utilizza un tema specifico per allargarsi a discorsi di carattere più generale come aveva fatto ad esempio in ‘Memorie di un assassino’ dove un caso di omicidio era lo spunto per disegnare un ritratto della Corea degli anni '80. Con ‘Madre’ costruisce invece un thriller dai risvolti hitchcockiani sulla colpa e la mostruosità dell'amore incondizionato concentrandosi soltanto su questo e confermando ancora una volta di essere tra gli autori più interessanti degli ultimi quindici anni.