Viviamo tra sentimenti molto contrapposti, in questa stranissima estate che sta cominciando tra folate di caldo e grandi acquazzoni, come se il meteo riassumesse il nostro stato di sospensione tra una stagione e l’altra.
Siamo veramente fuori dall’incubo della pandemia che ci ha cambiato la vita tanto profondamente, che perfino stentiamo a riconoscerci, reincontrandoci, con le mascherine un po’ sì e un po’ no, in strade, ristoranti, negozi, bar finalmente ripopolati?
La voglia di libertà, di riconquista degli spazi e dei tempi persi è fortissima, sopratutto nelle generazioni giovani e non solo nelle movide esagerate o nei proclami, anche un po’ blasfemi, come quello del paragone con i nonni che avevano lottato per riconquistare democrazia e libertà.
Nelle generazioni più stagionate, come la mia, questo respiro di riapertura è un po’ più affannoso, stemperato da questi lunghi mesi di costrizioni inattese, perfino violente, ma alle quali ci si è adattati come in una cuccia protettiva.
Molti temono quasi di riaffacciarsi nella vecchia normalità. Sono stati mesi lunghi e pesanti, nei quali molte cose sono cambiate, il tempo si è consumato e a una certa età gli anni contano molto di più.
La malattia maledetta ha portato via anche amici e parenti e tanti sono invecchiati più rapidamente. Si teme di specchiarsi in questo, temendo l’immagine che torna indietro. Ma dall’altra parte il soffio della libertà e del cambiamento che tutta questa terribile fase ha portato è prepotente. Non è come se fossimo alla fine di una guerra, che le nostre generazioni non hanno conosciuto, ma che possiamo immaginare per la spinta di speranza e ricostruzione che comportava e che ci siamo sentiti raccontare.
Ma è qualcosa di molto simile e proprio quando arriva la bella stagione, la natura che si riapre, le giornate lunghe, quella gioia dei più piccoli che escono dall’ultimo giorno di scuola, quella forza che i giovani esprimono nel riappropiarsi del loro tempo, del loro spazio, delle relazioni tra loro, innaturalmente accecate dalle chiusure, dalla scuola a distanza, dai sentimenti negati, l’amore, l’amicizia chiusi in un video, appesi a un telefonino.
E resta ancora quel virus che sembra strisciare via, nel numero ridotto dei contagi, dei morti, che contavamo ogni pomeriggio, ogni sera e oggi ci dimentichiamo perfino di andare controllare. Restano i dubbi, le incertezze, i vaccini con la loro coda di liberazione da una parte e di paura dall’altra per le notizie, come quella di Camilla, che arrivano come bruschi risvegli a ricordare quello che abbiamo passato e che stiamo ancora passando: una pandemia, la medicina e la scienza che la combattono, ma non è una battaglia mai vinta del tutto, anzi.
Alla fine siamo sospesi in questa condizione un po’ struggente della fine di un incubo che , però, non si può ancora conclamare con la vita che riprende a spicchi sempre più consistenti, ma non del tutto: i posti contati a tavola, gli ingressi a percentuale negli eventi pubblici, gli stadi con le tribune animate ma non riempite, il lavoro che riparte, ma lo spettro per tanti della fine del blocco licenziamenti.
Abbiamo paura di sperare che sia veramente finita, ma la speranza è la strada che ci aiuterà a vivere questo ultimo passaggio molto meglio, insieme alla coscienza di doverci mantenere vigili, attenti, prudenti.
cronaca
Il vento della libertà e la paura, ma ne siamo veramente fuori?
Viviamo sospesi tra la fine dell'incubo e la paura che non sia ancora finita
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