salute e medicina

Il post di Vivian Perniciaro divenne virale durante i primi giorni
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"Già un anno...". Sospira Vivian Perniciaro anestesista e rianimatore del pronto soccorso del Policlinico San Martino di Genova come se solo in quell'istante avesse realizzato che sono passati dodici mesi dall'inizio dell'emergenza Covid in Liguria.


Il post su Facebook con il viso segnato dalla mascherina e dalla tuta anti contaminazione, l'appello a restare a casa era diventato virale in poche ore. Era l'8 marzo del 2020 e ora a ripensarci sembra una vita fa e lo è anche per lei.


"Chiusa dentro una stanza per ore senza poter bere o grattarsi semplicemente il naso, per intubare ed assistere un paziente contagiato prima di portarlo in rianimazione in un ambiente surreale - scriveva nel post - STATE A CASA!!! Perché se non capite cosa succede e che di Coronavirus si muore, capite almeno che i posti in rianimazione finiscono, gli anestesisti sono sempre gli stessi e gli incidenti, gli infarti, gli ictus ecc continuano ad esistere e noi siamo sempre gli stessi... vulnerabili stanchi schiacciati, ma che resistono e continuano a testa bassa finché si può... Poi forse si torna a casa. E non siamo eroi, facciamo il nostro mestiere!".


Il ricordo di quei giorni è ben impresso nella sua mente. "Non cancellerò mai dalla mia mente il ricordo di quel primo giorno come tanti altri che ho vissuto in questo primo anno quando abbiamo preso il primo malato da intubare e ricoverare - racconta a Primocanale - ricordo la paura di un qualcosa di nuovo, la paura di non essere protetti abbastanza, di indossare per la prima volta tutti i dispositivi secondo criteri ben precisi, di affrontare questa nuova malattia a cui nessuno in tutto il mondo e tantomeno noi eravamo preparati. Siamo stati un po' come dei bambini che devono crescere loro malgrado troppo in fretta saltando tanti passaggi".


Un mix di sentimenti così forti che ancora oggi deve essere elaborato per molti medici e infermieri e anche per lei. "Abbiamo vissuto tutte le emozioni che una persona può provare tutte concentrate nello stesso momento - sottolinea - dalla paura di essere contagiati e portare a casa il virus ai miei bambini e familiari, dalla rabbia di sentirsi impotenti, dalla tristezza di vedere gli occhi di queste persone sole e in mano nostra che non potevano rivedere i loro cari, le telefonate d'addio a casa ma anche la felicità delle tante vite salvate. Emozioni concentrate che si ripetevano per decine e decine di pazienti al giorno".


Poi è arrivata la fine della prima ondata ma per la dottoressa Perniciaro non è stata una liberazione anzi. "Avevo paura a trovarmi in mezzo alle persone, mi sentivo quasi più protetta nella mia seconda casa che era l'ospedale con i miei guanti e le mie tute dove tutti rispettavano rigorosamente i criteri di sicurezza e quindi trovarmi in mezzo alle persone non è stato facile".


E la seconda ondata. "Eravamo più preparati scientificamente perché abbiamo imparato a conoscere una malattia nuova e trovare le soluzioni - spiega - il mio mestiere è fatto di urgenza, di decisioni da prendere in fretta, quindi non è stata una novità, la novità è stata concentrarle tutte in un attimo. La seconda ondata è stata paradossalmente più difficile dal punto di vista psicologico perché sapevamo a che cosa stavamo andando incontro, ci sono stati ricoveri anche di conoscenti, di amici, di persone care e quindi è stato un ripetersi di questa sofferenza che lascia dei segni importanti: abbiamo nomi e volti stampati nella memoria".


Cosa non potrà dimenticare di questi dodici mesi? "Porterò con me tutti i volti, tutti gli occhi, tutte le voci, tutte le telefonate di queste persone sole che ti guardano implorando aiuto e cercano nella persona che hanno davanti un sostegno perché non possono avere i loro cari vicini, porterò le telefonate a casa di parenti che salutano per l'ultima volta, mi porterò dietro la collaborazione, la solidarietà tra tutti i colleghi del pronto soccorso con cui lavoro e nessuno mai ha abbandonato nessuno, mai mollato la presa pur portando a casa dei fardelli come il timor, soprattutto all'inizio, di portare il contagio a casa ai propri figli e poi la fine intravedere uno spiraglio nel vaccino una boccata d'aria fresca la fine di questo incubo".


Una pandemia ancora in corso che ha cambiato l'anestesista e rianimatore.
"Non è cambiato il modo di essere medico sono cresciuta io tanto insieme ai miei colleghi, è aumentata l'empatia nei confronti delle persone questo sicuramente, lo sono penso nella normalità ma tutta questa sofferenza ha fatto capire ancora di più che abbiamo delle persone davanti delle persone che sono state molto sole nella sofferenza".


A un anno di distanza anche per la dottoressa Perniciaro bisogna ricominciare un po' a vivere ma sempre e solo con il rispetto delle regole.
"Un anno fa ho scritto 'state a casa' oggi si deve vivere in qualche modo una vita pseudonormale per quanto possibile ma con intelligenza: le mascherine non le abbandoniamo, lavarsi le mani ce lo insegnano da bambini, gli assembramenti vanno evitati, poche cose per cercare di riprendere la vita che tutti abbiamo lasciato indietro, ricominciare un pochettino a rientrare in una sorta di normalità in cui tutti abbiamo bisogno a partire dall' economia per arrivare a l'individuo ma sempre rispettando le regole".