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Il presidente incaricato incontra le forze politiche ma ha già chiara l'articolazione della squadra
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 Quando si diraderà la nuvola di incenso - dal profumo molto simile a quello che italianamente avvolgeva fino a qualche giorno fa il predecessore, e ancor prima il predecessore del predecessore e così via – il professor Mario Draghi riscoprirà il destino acre di molti primi della classe come lui: l'irrefrenabile desidero dei mediocri di sgambettarlo.

Svanito l'interrogativo sul perché un uomo che oggi appare perfetto e infallibile non sia stato eletto da tutti i popoli per acclamazione imperatore del mondo, il presidente incaricato resterà solo con se stesso e con la necessità di mediare: tra Grillo che vuole la patrimoniale e Salvini che chiede il taglio delle tasse, Calenda che vuole cancellare il reddito di cittadinanza e Di Maio che intende rafforzarlo, il centrodestra che vuole suoi ministri e Zingaretti che esige il distanziamento sociale da tutto quello che esorbiti dal suo perimetro ideologico, Renzi che dopo aver fatto la guerra a tutti gli altri potrà ricominciare da quella contro se stesso cercando finalmente di capire in quale sia più bravo. E cosa succederebbe poi, a un eventuale governo con tutti dentro o quasi, al prevedibile arrivo del primo barcone o nave Ong, stucchevole ritornello del Conte I?

Al momento, il grado di consenso raccolto da Draghi sembra articolarsi oltre lo stesso perimetro sia del Conte II, sia dello stesso “modello Ursula”: Pd, Forza Italia e Italia Viva ma anche i 5S e LeU sono disponibili e i segnali di apertura da parte della Lega sono sempre più chiari. Ma proprio i grillini e la sinistra sollevano problemi di incompatibilità con i “sovranisti”: la Meloni per parte sua si è già chiamata fuori, rischiando per FdI la sorte dell'antenato Msi ai tempi dell'”arco costituzionale”, in vista di un futuro dividendo elettorale, quanto futuro si vedrà. Oggi si completa quel che dovevano essere le consultazioni e che invece è divenuto il primo giro: l'allungarsi dei tempi è segno di come reggere una banca internazionale sia più facile che tenere a bada il paese dei Ciampolillo.

La politica, nell'accezione emostercoraria secondo la storica definizione di Rino Formica, brutalmente commissariata per manifesta inazione da Mattarella, recalcitra comunque ad abbozzare di fronte al righello del presidente, ma forte della necessità algebrica del consenso d'aula non vede l'ora di prendersi la rivincita, sul secchione che tenta di dare vita a “un governo di alto profilo che non debba identificarsi con alcuna formula politica”.

Questo il capo dello Stato aveva imposto, per evitare le elezioni anticipate, ma il canone richiesto va sfarinandosi. Gli stessi consiglieri del Colle stanno rassegnandosi all'idea di un esecutivo ibrido: l'elettrico dei tecnici, la benzina dei politici. E questi ultimi dovrebbero essere più rappresentati, non senza alcune significative conferme (da Speranza alla Lamorgese, da Guerini a Boccia) che però rischiano di fare assomigliare il Draghi I a un Conte III senza Conte. Per questo motivo circolano i nomi di Giorgetti e Tajani come possibili ministri rappresentativi di un centrodestra peraltro in evoluzione, mentre i tecnici puri sarebbero la Cartabia guardasigilli e Cottarelli al Tesoro, più alcuni fedelissimi di Draghi come Daniele Franco (direttore generale Bankitalia), Fabio Panetta (membro del consiglio Bce), Andrea Brandolini (vicecapo del Dipartimento economia e statistica di Bankitalia), Dario Scannapieco (vicepresidente della Bei) e l'economista Lucrezia Reichlin.

La bancarella allestita da Conte in piazza Colonna, iniziativa che ha destato profonda irritazione al Quirinale sempre attento alla forma, è stata il primo avviso di questa indisponibilità della politica a finire dietro la lavagna: ed è curioso che a farsene alfiere sia stato un personaggio a suo tempo scelto proprio perché del tutto privo dei globuli della politica politicata; e che forse, con questa ennesima trovata mediatica del suo iperattivo ciambellano, si è giocato le già rade possibilità di restare se non a Palazzo Chigi almeno al governo. Ma anche Salvini ha fatto capire di voler rientrare nell'esecutivo in tutti i sensi, con esponenti della Lega, mentre Berlusconi e Renzi preferirebbero un gabinetto del tutto tecnico.

Mattarella ha fatto capire a Draghi che potrebbe tenere a battesimo anche un governo di minoranza, ma forse l'ex presidente BCE non è entusiasta di intestarsi una soluzione al ribasso. Molti nodi si sciolgono oggi, con i colloqui tra il primo ministro incaricato e le delegazioni della Lega e del M5S, quest'ultima che dovrebbe vedere sia Grillo che, a sorpresa, Conte tra i suoi componenti.

A ogni buon conto, Draghi si è già preso altro tempo, fino alla settimana prossima, e conta di usarlo a suo favore.
Il banchiere romano sa che nessuno vuole davvero andare a votare, di là dal veto esplicitato da Mattarella: e su questa leva emotiva, più che sui grandi discorsi di principio, conta per far partire il suo governo. A meno che gli ultimi della classe non meditino una beffa. Che suonerebbe a bocciatura non solo di Draghi, ma di tutta una classe politica che si dimostrerebbe capace solo di ostruire anziché costruire.