porti e logistica

Il giudice ha assolto tutti gli imputati: "Il fatto non sussiste"
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“Abbiamo passato le pene dell’inferno, un’azienda è andata distrutta, mio figlio ha passato quattro notti in prigione, però non ci siamo mai arresi”: Gioacchino d’Andria, il cui nome è stato associato a una lunga indagine giudiziaria, può finalmente esultare; a quasi sei anni dall’apertura dell’inchiesta che riguardava lui e la sua famiglia, il tribunale di Genova ha chiuso la vicenda con un’assoluzione. Il fatto non sussiste.

D’Andria, assieme al figlio Giancarlo e altri quattro imputati, era finito nei guai accusato di avere falsificato o effettuato con strumenti non idonei i controlli radiometrici sui container in porto: “Accuse infamanti e infondate, promosse da concorrenti invidiosi dei nostri successi”, si sfoga ora d’Andria.

All’epoca coadiuvavo lo sviluppo commerciale dell’azienda Dp, specializzata nei controlli radiometrici – spiega – le cose andavano bene, avevamo sottoscritto una convenzione con Spediporto e avevamo conquistato una bella fetta del mercato. La nostra posizione ha scatenato le gelosie dei concorrenti  e in quel momento sono cominciate le accuse e il fango ci è piovuto addosso”.

Quando la Procura ha iniziato a indagare la vita dei d’Andria si è attorcigliata su se stessa: “Mio figlio è stato rinchiuso per quattro notti nel carcere di Marassi, i soci della Dp, vista la situazione, hanno deciso di liquidare la società e tutto il lavoro che avevamo fatto è andato perduto. Ma non abbiamo abbassato la testa – dice d’Andria – abbiamo messo in piedi una nuova società e abbiamo continuato a lavorare”.

L’accusa sembrava molto grave: alla Dp erano contestati controlli frettolosi sui container potenzialmente radioattivi, un lavoro, sosteneva la Procura, effettuato da personale non specializzato. “I nostri avvocati hanno smontato questa ricostruzione – spiega Gioacchino d’Andria – il nostro lavoro era accurato e il personale addetto operava sotto la supervisione di un responsabile che, come la legge oggi dispone, interviene in caso di anomalie”.

Il fatto più eclatante dell’inchiesta è stato il ritrovamento di un faldone di certificati precompilati: “Nulla di scorretto – continua d’Andria – i certificati erano firmati dal responsabile che, in questo modo, dichiarava di essere il controllore dei tecnici che in quel momento erano operativi, è un comportamento perfettamente aderente alle linee guida”.

In tribunale lo scontro è stato a tratti infuocato: i d’Andria hanno addirittura ingaggiato una società di investigazioni private per dimostrare la bontà del loro lavoro ma i circa trenta filmati prodotti non sono stati acquisiti come prova dal giudice incaricato del processo. In ogni caso non sono stati necessari.

Dopo quasi sei anni è arrivata l’assoluzione: “Ora possiamo continuare a lavorare con la testa alta – conclude d’Andria – cercheremo di recuperare gli affari che abbiamo perduto e di fornire il nostro servizio”. E su coloro che li hanno accusati d’Andria è deciso: “Con tutto quello che abbiamo patito sarebbe giusto chiedere i danni, potremmo decidere di farlo”.